31 maggio 2014

DIO E IL DENARO


Marguerat Daniel

Dio e il denaro


Recensione di Marina Monego pubblicata oggi sul sito 

http://www.lankelot.eu/
 

Sono anni in cui l’alta finanza sembra voler decidere sul nostro destino, il denaro decreta le sorti di intere nazioni, il debito o il Pil incombono, influenzano la politica, la società, gli uomini. Mai si era sentito tanto parlare di spread, di banche, di modi per far circolare, sparire o moltiplicare il denaro.
Se non si fanno più viaggiare i classici forzieri di monete d’oro, il denaro è comunque una realtà concretissima e tanto potente da influenzare stati e popoli.
Ha senso dunque interrogarsi – come fa l’autore di questo libro, un pastore della chiesa riformata – sul senso del denaro, ponendosi tali interrogativi: che ne è dell’essere umano di fronte al denaro? A che serve il nostro denaro? Per che cosa lo usiamo? Quale scala di valori riflette il nostro budget? Quale coerenza riusciamo a mantenere tra fede e portafoglio?
 
Le origini del denaro e della ricchezza sono antichissime, per cui già nella Bibbia si parla abbondantemente di queste realtà, ritenendole un segno della benevolenza di Dio e mai un qualcosa di cui vergognarsi. I beni vengono dal creatore e l’uomo che li usa rende grazie al suo Signore. Gli antichi ebrei confessavano di essere solo gli amministratori di un mondo che era stato loro donato e non avevano né l’ingenuità, né la pretesa di credersi padroni della vita.
Ecco allora che i beni servivano a venir condivisi, di qui l’istituzione dell’anno sabbatico (ogni sette anni i debiti andavano condonati, gli schiavi liberati, le terre lasciate a maggese e i frutti messi a disposizione dei poveri) e di quello giubilare (ogni cinquant’anni, sette cicli di sette anni, le terre andavano a riposo e le proprietà venivano restituite), come spiegato nel Levitico.
Non si sa se poi gli ebrei abbiano sempre applicato queste regole in modo rigoroso, ma la loro stessa esistenza risuona come un monito a ricordare che la terra appartiene solo a Dio e che i poveri non vanno confinati in una situazione di perpetua miseria, che li imprigiona e li rende vittime, ma hanno diritto alla loro elemosina, in ebraico zedaqà-giustizia, parola che non ha nulla del significato di concessione che siamo soliti darle.
Il greco elemosyne significa invece compassione, misericordia, e nasce dalla prassi di offerta delle primizie o dei primi nati nel gregge prescritta sempre nel Levitico. Il rito manifesta non solo il riconoscimento a Dio per i suoi doni, ma costituisce anche una forma di rinuncia al possesso: ci si separa da una parte della propria ricchezza, perché si afferma che proviene da una terra ricevuta in dono e fatta fruttare col proprio lavoro. Riconoscersi destinatari di un dono apre a una possibile condivisione e questo fonda il significato teologico dell’elemosina. “Riconoscendo di non essere proprietario della propria esistenza, il credente accetta di fatto di riceversi da Dio e dagli altri”. (p.27)
 
Appurato che nella Bibbia non mancano poi invettive dei profeti contro i ricchi che, usando male il loro denaro e il potere ad esso legato, ledono l’umanità dei poveri e quindi attentano a Dio stesso, i problemi più grossi subentrano col Nuovo Testamento e le famose parole di Gesù:
“Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e Mammona”. (Matteo 6,24; cfr.Luca 16,13)
Qui si passa da un discorso morale e uno spirituale: quale orizzonte ha il possedere? Su cosa fondiamo la nostra vita? Quale dio ci diamo?
“Mamona” è il nome aramaico della statuetta della fortuna, alla quale si offrivano sacrifici per ottenere successo negli affari o nelle relazioni. Mamona deriva dalla radice ebraica ‘m n, che ha dato origine alla parola Amen, con la quale affermiamo che la nostra preghiera è vera. Il verbo aman indica stabilità, fermezza. Mamona è dunque ciò che è stabile e su cui riponiamo la nostra fiducia, Mamona è il denaro che dà pace e sicurezza. Non è così in verità, come dimostra la parabola del ricco stolto in Luca 12,16-20.
 
“Dietro l’accumulo di ricchezze vi è dunque la paura di mancare di qualcosa, e dietro di essa la paura della morte. Perché il denaro si offre come garanzia contro la morte. O meglio: investito del ruolo di idolo consolatorio, divenuto ricettacolo privilegiato della paura di morire, il denaro ha lasciato il suo statuto di oggetto per divenire Mammona. Mammona che protegge dalla morte. Si deifica il denaro quando se ne fa un baluardo contro la morte, una promessa di eternità” (p.45.)
 
“Guai a voi, ricchi!” (Luca 6,24) non significa mandarli al diavolo, ma compatirli, “Infelici voi!”, perché state imboccando una via che conduce alla morte.  A questo punto vien da chiedersi in chi bisogna riporre la propria fiducia e soprattutto come si deve comportarsi con questo denaro, con il quale noi tutti abbiamo a che fare quotidianamente.
 
Vi è il famoso e bellissimo discorso di Gesù sugli uccelli del cielo e i fiori del campo (Matteo 6,25-26), spesso interpretato come uno slogan per sognatori utopisti, distaccati dalla realtà concreta. In verità gli uccelli sono molto indaffarati, ma per il pane quotidiano e non per accumulare. Si fidano di Dio e vanno avanti.
“Dimmi come spendi il tuo denaro e ti dirò chi sei…” o meglio, che cosa il denaro fa di te? Ecco la dimensione spirituale del denaro.
Non è vero che le leggi economiche, oggi spacciate per assolute e dominanti, non abbiano una dimensione etica e spirituale e non possano essere controllate e ammorbidite.
“È urgente ripensare l’economia in una dimensione spirituale per evitare di ritrovarci un giorno in una società completamente mercificata (business society), una giungla infernale dove il dio denaro divora i suoi figli”. (p.54)
 
Nel Nuovo Testamento non mancano esempi di un uso diverso e creativo del denaro: ecco la vicenda di Zaccheo in Luca 19,1-10, l’esattore delle tasse che non cambia mestiere e non rinuncia a tutto, semplicemente decide di usare il suo denaro per creare felicità e rimediare alle ingiustizie. Il denaro, che lo rendeva odioso agli altri, diventa per lui fonte di relazioni. È così che la salvezza entra nella sua casa.
“Non si tratta – e va ribadito – di colpevolizzare chi possiede. Si tratta piuttosto di mostrare che il denaro, proprio in quanto effetto della benedizione divina, genera una responsabilità e una libertà, libertà che consiste nel mobilitare la propria riflessione e immaginazione perché i beni servano all’arricchimento di molti, perché il denaro sia sorgente di vita e non di morte”. (pp.67-68)
 
Naturalmente anche le prime comunità cristiane si sono poste il problema della ricchezza e del suo uso, come testimoniano gli Atti degli Apostoli e le lettere di san Paolo. L’autore individua cinque modelli di libertà nei confronti dei beni. Due sono modelli d’utopia e consistono nella spoliazione radicale, praticata ad esempio dagli eremiti o da san Francesco, e nella comunione dei beni, descritta negli Atti.
Tre invece sono presenti negli scritti di san Paolo e sono modelli di partecipazione: colletta, beneficenza, volontariato. Si tratta di una notevole varietà di scelte che, giustamente, possono tutte coesistere.
“La colletta, la beneficenza e il volontariato sono esempi di libertà cristiana nei confronti del denaro in comunità ove i credenti fanno l’esperienza di una solidarietà possibile e reciproca, solidarietà vissuta per ispirazione di un Dio di grazie che, attraverso il suo stesso agire, donandosi, pone le fondamenta della generosità personale e collettiva”. (p.97)
Le scelte più radicali costituiscono una “coscienza inquieta” del cristianesimo, un richiamo costante alla radicalità, ma possono far degenerare nell’elitarismo, nella presenza di una morale a due livelli, uno per i perfetti, l’altro per i credenti ordinari. Ecco allora che i tre modelli di partecipazione, meno spettacolari e ambiziosi, mirano a organizzare il reale così com’è.
“In essi vi è consapevolezza del fatto che il messaggio di Gesù vive di un ideale di uguaglianza, ma si rinuncia a imporla. Ciò significa che la forza dei modelli di partecipazione consiste nel farsi carico delle realtà penultime. Essi assumono le strutture del reale, con i loro vincoli economici, nella speranza di infondervi una maggiore solidarietà e umanità. Ma è chiaro che nel porre limiti allo slancio ideale corrono il rischio di occultare la radicalità delle realtà ultime, e di alimentare la tendenza cristiana al conformismo”. (pp.98-99)
La grande libertà cristiana consiste nella possibilità di scegliere e di mantenere viva la tensione dei diversi modelli, in modo che l’uno equilibri l’altro e ne faccia memoria.
I due capitoli finali vengono dedicati al prestito a interesse e all’atteggiamento di fronte ai mendicanti, si cita così la parabola del samaritano, che fa sorgere la domanda: tu chi vuoi essere per l’altro? Come vuoi divenire prossimo per l’altro?
 
EDIZIONE ESAMINATA E BREVI NOTE
 
Daniel Marguerat, Dio e il denaro, Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose 2014.
 
Daniel Marguerat (Losanna 1943), pastore della chiesa riformata del cantone di Vaud e professore emerito alla Facoltà di teologia dell’Università di Losanna, è un rinomato biblista, esegeta del Nuovo Testamento e specialista della ricerca su Gesù e sulle origini cristiane.
 
Marina Monego, maggio 2014

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