Marguerat Daniel
Dio e il denaro
Recensione di Marina Monego pubblicata oggi sul sito
http://www.lankelot.eu/
Sono anni in cui l’alta finanza sembra voler decidere sul nostro destino, il denaro decreta le sorti di intere nazioni, il debito o il Pil incombono, influenzano la politica, la società, gli uomini. Mai si era sentito tanto parlare di spread, di banche, di modi per far circolare, sparire o moltiplicare il denaro.
Se
non si fanno più viaggiare i classici forzieri di monete d’oro, il
denaro è comunque una realtà concretissima e tanto potente da
influenzare stati e popoli.
Ha
senso dunque interrogarsi – come fa l’autore di questo libro, un
pastore della chiesa riformata – sul senso del denaro, ponendosi tali
interrogativi: che ne è dell’essere umano di fronte al denaro? A che
serve il nostro denaro? Per che cosa lo usiamo? Quale scala di valori
riflette il nostro budget? Quale coerenza riusciamo a mantenere tra fede
e portafoglio?
Le
origini del denaro e della ricchezza sono antichissime, per cui già
nella Bibbia si parla abbondantemente di queste realtà, ritenendole un
segno della benevolenza di Dio e mai un qualcosa di cui vergognarsi. I
beni vengono dal creatore e l’uomo che li usa rende grazie al suo
Signore. Gli antichi ebrei confessavano di essere solo gli
amministratori di un mondo che era stato loro donato e non avevano né
l’ingenuità, né la pretesa di credersi padroni della vita.
Ecco
allora che i beni servivano a venir condivisi, di qui l’istituzione
dell’anno sabbatico (ogni sette anni i debiti andavano condonati, gli
schiavi liberati, le terre lasciate a maggese e i frutti messi a
disposizione dei poveri) e di quello giubilare (ogni cinquant’anni,
sette cicli di sette anni, le terre andavano a riposo e le proprietà
venivano restituite), come spiegato nel Levitico.
Non
si sa se poi gli ebrei abbiano sempre applicato queste regole in modo
rigoroso, ma la loro stessa esistenza risuona come un monito a ricordare
che la terra appartiene solo a Dio e che i poveri non vanno confinati
in una situazione di perpetua miseria, che li imprigiona e li rende
vittime, ma hanno diritto alla loro elemosina, in ebraico
zedaqà-giustizia, parola che non ha nulla del significato di concessione
che siamo soliti darle.
Il
greco elemosyne significa invece compassione, misericordia, e nasce
dalla prassi di offerta delle primizie o dei primi nati nel gregge
prescritta sempre nel Levitico. Il rito manifesta non solo il
riconoscimento a Dio per i suoi doni, ma costituisce anche una forma di
rinuncia al possesso: ci si separa da una parte della propria ricchezza,
perché si afferma che proviene da una terra ricevuta in dono e fatta
fruttare col proprio lavoro. Riconoscersi destinatari di un dono apre a
una possibile condivisione e questo fonda il significato teologico
dell’elemosina. “Riconoscendo di non essere proprietario della propria
esistenza, il credente accetta di fatto di riceversi da Dio e dagli
altri”. (p.27)
Appurato
che nella Bibbia non mancano poi invettive dei profeti contro i ricchi
che, usando male il loro denaro e il potere ad esso legato, ledono
l’umanità dei poveri e quindi attentano a Dio stesso, i problemi più
grossi subentrano col Nuovo Testamento e le famose parole di Gesù:
“Nessuno
può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure
si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e
Mammona”. (Matteo 6,24; cfr.Luca 16,13)
Qui
si passa da un discorso morale e uno spirituale: quale orizzonte ha il
possedere? Su cosa fondiamo la nostra vita? Quale dio ci diamo?
“Mamona”
è il nome aramaico della statuetta della fortuna, alla quale si
offrivano sacrifici per ottenere successo negli affari o nelle
relazioni. Mamona deriva dalla radice ebraica ‘m n, che ha dato origine
alla parola Amen, con la quale affermiamo che la nostra preghiera è
vera. Il verbo aman indica stabilità, fermezza. Mamona è dunque ciò che è
stabile e su cui riponiamo la nostra fiducia, Mamona è il denaro che dà
pace e sicurezza. Non è così in verità, come dimostra la parabola del
ricco stolto in Luca 12,16-20.
“Dietro
l’accumulo di ricchezze vi è dunque la paura di mancare di qualcosa, e
dietro di essa la paura della morte. Perché il denaro si offre come
garanzia contro la morte. O meglio: investito del ruolo di idolo
consolatorio, divenuto ricettacolo privilegiato della paura di morire,
il denaro ha lasciato il suo statuto di oggetto per divenire Mammona.
Mammona che protegge dalla morte. Si deifica il denaro quando se ne fa
un baluardo contro la morte, una promessa di eternità” (p.45.)
“Guai
a voi, ricchi!” (Luca 6,24) non significa mandarli al diavolo, ma
compatirli, “Infelici voi!”, perché state imboccando una via che conduce
alla morte. A questo punto vien da chiedersi in chi bisogna riporre la
propria fiducia e soprattutto come si deve comportarsi con questo
denaro, con il quale noi tutti abbiamo a che fare quotidianamente.
Vi
è il famoso e bellissimo discorso di Gesù sugli uccelli del cielo e i
fiori del campo (Matteo 6,25-26), spesso interpretato come uno slogan
per sognatori utopisti, distaccati dalla realtà concreta. In verità gli
uccelli sono molto indaffarati, ma per il pane quotidiano e non per
accumulare. Si fidano di Dio e vanno avanti.
“Dimmi
come spendi il tuo denaro e ti dirò chi sei…” o meglio, che cosa il
denaro fa di te? Ecco la dimensione spirituale del denaro.
Non
è vero che le leggi economiche, oggi spacciate per assolute e
dominanti, non abbiano una dimensione etica e spirituale e non possano
essere controllate e ammorbidite.
“È
urgente ripensare l’economia in una dimensione spirituale per evitare
di ritrovarci un giorno in una società completamente mercificata
(business society), una giungla infernale dove il dio denaro divora i
suoi figli”. (p.54)
Nel
Nuovo Testamento non mancano esempi di un uso diverso e creativo del
denaro: ecco la vicenda di Zaccheo in Luca 19,1-10, l’esattore delle
tasse che non cambia mestiere e non rinuncia a tutto, semplicemente
decide di usare il suo denaro per creare felicità e rimediare alle
ingiustizie. Il denaro, che lo rendeva odioso agli altri, diventa per
lui fonte di relazioni. È così che la salvezza entra nella sua casa.
“Non
si tratta – e va ribadito – di colpevolizzare chi possiede. Si tratta
piuttosto di mostrare che il denaro, proprio in quanto effetto della
benedizione divina, genera una responsabilità e una libertà, libertà che
consiste nel mobilitare la propria riflessione e immaginazione perché i
beni servano all’arricchimento di molti, perché il denaro sia sorgente
di vita e non di morte”. (pp.67-68)
Naturalmente
anche le prime comunità cristiane si sono poste il problema della
ricchezza e del suo uso, come testimoniano gli Atti degli Apostoli e le
lettere di san Paolo. L’autore individua cinque modelli di libertà nei
confronti dei beni. Due sono modelli d’utopia e consistono nella
spoliazione radicale, praticata ad esempio dagli eremiti o da san
Francesco, e nella comunione dei beni, descritta negli Atti.
Tre
invece sono presenti negli scritti di san Paolo e sono modelli di
partecipazione: colletta, beneficenza, volontariato. Si tratta di una
notevole varietà di scelte che, giustamente, possono tutte coesistere.
“La
colletta, la beneficenza e il volontariato sono esempi di libertà
cristiana nei confronti del denaro in comunità ove i credenti fanno
l’esperienza di una solidarietà possibile e reciproca, solidarietà
vissuta per ispirazione di un Dio di grazie che, attraverso il suo
stesso agire, donandosi, pone le fondamenta della generosità personale e
collettiva”. (p.97)
Le
scelte più radicali costituiscono una “coscienza inquieta” del
cristianesimo, un richiamo costante alla radicalità, ma possono far
degenerare nell’elitarismo, nella presenza di una morale a due livelli,
uno per i perfetti, l’altro per i credenti ordinari. Ecco allora che i
tre modelli di partecipazione, meno spettacolari e ambiziosi, mirano a
organizzare il reale così com’è.
“In
essi vi è consapevolezza del fatto che il messaggio di Gesù vive di un
ideale di uguaglianza, ma si rinuncia a imporla. Ciò significa che la
forza dei modelli di partecipazione consiste nel farsi carico delle
realtà penultime. Essi assumono le strutture del reale, con i loro
vincoli economici, nella speranza di infondervi una maggiore solidarietà
e umanità. Ma è chiaro che nel porre limiti allo slancio ideale corrono
il rischio di occultare la radicalità delle realtà ultime, e di
alimentare la tendenza cristiana al conformismo”. (pp.98-99)
La
grande libertà cristiana consiste nella possibilità di scegliere e di
mantenere viva la tensione dei diversi modelli, in modo che l’uno
equilibri l’altro e ne faccia memoria.
I
due capitoli finali vengono dedicati al prestito a interesse e
all’atteggiamento di fronte ai mendicanti, si cita così la parabola del
samaritano, che fa sorgere la domanda: tu chi vuoi essere per l’altro?
Come vuoi divenire prossimo per l’altro?
EDIZIONE ESAMINATA E BREVI NOTE
Daniel Marguerat, Dio e il denaro, Edizioni Qiqajon, Comunità di Bose 2014.
Daniel
Marguerat (Losanna 1943), pastore della chiesa riformata del cantone di
Vaud e professore emerito alla Facoltà di teologia dell’Università di
Losanna, è un rinomato biblista, esegeta del Nuovo Testamento e
specialista della ricerca su Gesù e sulle origini cristiane.
Marina Monego, maggio 2014
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