14 maggio 2014

NON TEMO NIENTE, NON SPERO NIENTE, SONO LIBERO


L’epigrafe sulla tomba di Nikos Kazantzakis con la celebre frase tratta dal suo Zorba il greco:
 “Non temo niente, non spero niente, sono libero”.



Chiedetelo al mio amico Pana se in Grecia la crisi è finita

di Matteo Nucci


Atene. Per misurare con una certa obiettività la rinascita greca dopo sei anni di recessione, ciascuno di noi – stranieri, estranei, non greci, barbari –  ha in mano parecchi strumenti. Il più veloce richiede un’ora scarsa: andata e ritorno in giornata. Basta prendere la metropolitana all’aeroporto, scendere a Monastiraki, incamminarsi per qualche centinaio di metri su Athinas, voltare a destra quando si aprono le immense porte del mercato centrale. Andate lì a fine mattina, quando i banchi cominciano a chiudere. Conquistate un angolo dove sedervi e contemplate. Lo spettacolo della varietà di uomini e donne che puntano sugli scarti alimentari va seguito, appunto, per un’oretta e la dice lunga e bene – più di qualsiasi cifra statistica.
Se non siete di corsa, potete invece voltare a sinistra su Sophocleous e seguire lo spettacolo della mensa comunale. Oppure potete sedervi a qualsiasi bar e aspettare di vedere in agguato qualche insospettabile borghese pronto a rubare il biscottino che viene servito accanto alla tazzina di caffè. O potete andare negli ospedali pubblici a seguire le scene raccapriccianti di chi non può essere accolto. Ci sono molti mezzi, alcuni definiti retorici dai soloni del commento, altri certo molto più complessi e raffinati. Ma si tratta comunque di mezzi necessari per dare vita ai numeri che propongono gli analisti e paragonare la presunta rinascita, ricrescita o come vogliamo chiamare quel mostro – chimera? ircocervo? – su cui stanno puntando in molti (dai greci governativi che sperano di conquistare consensi agli stranieri che hanno deciso di investire e speculare) e i numeri della povertà.
Cerchiamo di scandirli bene, questi numeri. Quasi undici milioni sono i Greci oggi. La metà, o poco meno, vive in questa metropoli che è il nucleo del malessere, il centro della guerra. Non si tratta di metafore. Fuori da Atene, tutto è meno violento. Qui, la guerra è palpabile. Qui si concentra la massa dei nuovi poveri. I disoccupati greci oggi sono quasi tre milioni. Si deve salire di numero per definire chi vive in stato di povertà (due disoccupati in una famiglia di quattro persone significa quattro persone in grave difficoltà – e questo i numeri lo sottintendono sempre) e ci si può assestare sui tre milioni o poco meno per contare coloro i quali stanno perdendo qualsiasi copertura medica. Ecco qui la guerra. La guerra che fa i morti. Oggi, in città si cominciano a contare i morti. Quelli che non possono ricevere assistenza medica per un tumore perché il tumore non rientra fra le emergenze (gratuite per tutti), ma che non hanno soldi per operarsi o essere trattati e che dunque muoiono. Non si creda che siano pochi, casi di questo genere. Numeri complessivi ancora non se ne fanno ma un giro fra gli ospedali di Atene può consegnarci qualche dato serio.
Negare l’estremo dramma della crisi greca nel 2014 è insensato. Non è un peccato, ma è insensato. Un peccato mortale è invece rifiutarsi di guardare come i greci stiano reagendo a questa crisi, si stiano difendendo in questa guerra, e stiano mostrando a noi europei, una volta ancora, una via. Qui però c’è bisogno di uno sforzo leggermente superiore. Bisogna conoscere l’uomo greco, un tipo umano che sfugge ancora all’omologazione globalizzante e mantiene caratteri tipici da millenni. Si può cominciare con due libri di magnifica lettura: Il colosso di Marussi di Henry Miller e Zorba il greco di Nikos Kazantzakis. Entrambi raccontano l’uomo greco, il colossale uomo greco: un poeta di nome Katsimbalis, per Miller; il celebre Zorba, per Kazantzakis. Meglio ancora però è conoscerne uno, di questi uomini. Ce ne sono ancora parecchi in giro, di questi tipi che sussumono in sé la varietà e le peculiarità del carattere greco fino a farsene paradigma. Io, da quasi dieci anni, ho individuato il mio eroe in un uomo che di nome fa Panagiotis e che di cognome non ha mai voluto essere trascritto pubblicamente. Preferisce essere chiamato “l’uomo di Cheronea” dalla città dove nacque, e dove nacque anche Plutarco e dove si combatterono quattro importanti battaglie. Nella vita, Panagiotis è stato un celebre campione di pallacanestro (sport qui popolare quanto il calcio), capitano del Panathinaikos e della nazionale. Oggi vive con la pensione minima: 360 euro al mese.
Passare le giornate con Pana è una delle cose migliori a cui io possa ambire. Perché l’uomo greco, tra le molte cose, ne ha una centrale e indiscutibile: non accetta alcun tipo di verità rivelata; è sempre in cerca di una sua risposta, la risposta che risulti migliore, dopo un accurato esame. C’è Socrate, in fondo. Ossia la sorgente della più grande conquista del pensiero occidentale: il senso critico. E allora: cosa è necessario e cosa non lo è? ci sono maniere alternative per vivere una vita dignitosa? come posso, io, conquistarmi la mia felicità? la crisi economica non porta opportunità oltre che dolore? Pana ha superato da poco ottant’anni. Vive nel centro esatto di Atene. Di mattina lo si può incontrare davanti al piccolo negozio di chiavi di un comunista con cui discute animatamente i modelli di vita possibile. Poggia la seggiola sul marciapiede e in cima a uno dei pilastri che impediscono alle automobili il parcheggio selvaggio ha costruito un tavolino su cui depone il suo caffè. A pranzo, Pana mi porta in posti dove si mangia magnificamente a meno di cinque euro. Con lui, ho conosciuto le nuove forme di baratto, gli scambi di competenze e servizi, i mercati dove il produttore è anche venditore e soprattutto le forme più straordinarie di solidarietà metropolitana – un genere di solidarietà particolarmente raro perché è noto che in una grande città i rapporti si perdono. Potrei fare molti esempi ma l’ultima è la questione più importante.
Come è possibile mantenere rapporti, in città? Non siamo tutti ormai convinti che la cosa si possa realizzare soltanto con le persone più vicine, quelle che conosciamo da tempo o con cui condividiamo interessi solidi? La tipica risposta greca è un’altra domanda: chi l’ha detto mai? ne siamo sicuri? non esiste un’altra possibilità? E così per qualsiasi tipo di apparente certezza. E su tutte, una. Ve la riferisco come l’ha formulata lui, l’uomo di Cheronea: “Lavorare, lavorare tutto il giorno, sembra scontato, ma non lo è. Certo, è bene lavorare il giusto. Quanto basta per poi dedicarsi a se stessi e cercare di essere felici. A che serve invece lavorare tutto il giorno? Non vorremo finire come la Svizzera!”
Si può essere d’accordo o meno, ma sarà evidente a tutti che è quanto hanno sempre ripetuto i filosofi antichi, esemplarmente i due più grandi: Platone e Aristotele. L’uomo libero è chi ha a disposizione il tempo per ragionare, chiedersi dove stia andando, come voglia vivere. Non è questo, forse, il modello a cui possiamo realmente ambire ancora oggi e magari proprio perché quasi costretti dalla crisi? Lavorare meno, lavorare tutti, tutti dedicare del tempo a soddisfare i veri bisogni. I greci sono ancora filosofi nel senso originario del termine: amanti di sapienza, sempre in cerca di una verità migliore delle precedenti. Troverete il vostro uomo in Grecia, se avrete tempo e voglia di cercarlo. Vi mostrerà una via, vi aprirà la strada delle domande semplici. Quelle che ci mostrano il profondo significato del termine “crisi”, per esempio. Ossia scelta, giudizio, bivio. Siamo in crisi, infatti, quando dobbiamo decidere. E allora domandiamoci: dove vogliamo veramente andare?
Pochi giorni fa, dopo aver salutato l’amico comunista del negozio di chiavi, Pana se la rideva. L’argomento era ancora il lavoro e stavolta si era trovato costretto a eliminare l’ipotesi precedente: “In quello che propongono i tedeschi, caro Matteo, non c’è posto per quella possibilità. Accettando il loro paradigma, restano solo tre strade. O lavori come un cane, lavori troppo, tutta la vita, dal mattino alla sera, e io non voglio lavorare troppo e nemmeno tanto. Oppure apri una banca. Oppure rubi. Rubare, delle tre, è la cosa migliore. È bello rubare. Ma solo se a rubare sei tu. Altrimenti non è bello affatto. Però che dire? sempre meglio un ladro che una banca”. Andate in Grecia. Fidatevi. Non c’è niente di meglio della Grecia, in tempo di crisi.

Fonte:  Questo pezzo   è uscito su Pagina 99

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