Miguel Hernández è stato a marzo protagonista di una
memorabile conferenza di Miguel Ángel Cuevas (Università di Siviglia), promossa
a Marsala dalla locale Associazione Sancho Panza.
Versi del poeta saranno riproposti a luglio nell’ormai
tradizionale “lettura bilingue” di autori ispanofoni che viene inserita nei
corsi di spagnolo organizzati, sempre a Marsala, dalla stessa Associazione. Quest’anno
la lettura sarà dedicata alla memoria di José Luis Sagüés (Università
Complutense di Madrid), tra i fondatori e i più convinti sostenitori della
“Sancho Panza”.
Per la traduzione della seconda cronaca ci si è avvalsi
della consulenza generosa dell’amico Eugenio Primerano, dell’Ordine degli
Avvocati di Valenza, il quale tiene a sottolineare che il Tribunale Supremo
spagnolo «non è una vera e propria Cassazione
all'italiana o alla francese e nemmeno una Corte Suprema statunitense» e che il
«Ricorso di Tutela Costituzionale, è uno strumento giuridico che in Italia non
esiste; in Italia possono adire alla Corte Costituzionale le parti o il giudice
solo nel corso di un procedimento ed avverso una legge o atto equiparato, oltre
ad altri tipi di atti normativi, ma mai avverso ad una sentenza, ordinanza o
quant’altro di natura giudiziale; in Spagna, il Recurso de Amparo è uno strumento in mano al cittadino, uno
qualunque, per la difesa di un suo diritto riconosciuto e tutelato dalla
Costituzione e che egli ritenga violato da un qualsiasi atto, compresa una
sentenza.»
[nicolò messina]
Un altro scrittore giudicò e condannò
Miguel Hernández
Ezequiel Moltó
Alicante
El País, 12 maggio 2014
La condanna di uno dei poeti spagnoli più universali,
Miguel Hernández (Orihuela, 1910-Alicante, 1942), fu firmata da un giudice che,
prima di vincere il concorso della magistratura, era stato un rinomato
scrittore umoristico, autore di racconti pubblicati in diversi organi di
stampa. Manuel Martínez Gargallo li firmava come Manuel Lázaro. Lo ha accertato
e dimostrato Juan Antonio Ríos, ordinario di Lingua e Letteratura Spagnola all’Università
di Alicante, dopo essersi immerso nella stampa del tempo per approfondire
l’identità di questo umorista che negli anni del franchismo condannò decine di
giornalisti e disegnatori umoristici.
«Sulla condanna di Miguel Hernández si è scritto tanto,
ma nessuno si era interrogato sull’identità della persona che l’aveva inflitta»,
spiega questo docente che pubblicherà fra breve i risultati della sua ricerca
su una rivista specialistica statunitense. Martínez Gargallo fu un
collaboratore abituale delle pubblicazioni umoristiche, finché nel marzo 1931
non vinse un concorso e ad appena 26 anni non ottenne un posto di giudice a
Murias de Paredes, un paese della provincia di León. «Il paradosso è che prima
era stato un buon umorista e poi fu capace di condannare persino il
caricaturista che aveva illustrato parte dei suoi racconti», afferma Ríos.
Le narrazioni umoristiche di Manuel Lázaro ebbero molti
fedeli lettori e raggiunsero certa fama per «acume e ingegno», secondo Ríos, per
il quale lo stile della prosa dello scrittore sarebbe paragonabile a quello di
altri come Enrique Jardiel [Madrid, 1901-1952, scrittore e drammaturgo
tendente al gusto dell’assurdo]. Il docente dell’Università di Alicante
spiega che i racconti di Lázaro uscivano periodicamente su pubblicazioni quali Buen
Humor, Cosmópolis, Ondas, Gutiérrez, Blanco y Negro,
Nuevo Mundo, Cinegramas o il giornale ABC.
La critica lo collocò tra i membri dell’ “altra
generazione del 27”, tra cui figuravano anche, fra gli altri, Enrique Jardiel
Poncela, Rafael Sánchez Matas o César González Ruano. La produzione letteraria
di Martínez Gargallo inizia negli anni Venti e, dopo la sua nomina a
magistrato, El Heraldo de Aragón pubblicò una nota rivelatrice: «Manuel
Lázaro, fine umorista, è lo pseudonimo di un sagace laureato in Giurisprudenza
che rispondeva al nome di Manuel Martínez Gargallo». Non si trattava di un
segreto, ma nessuno si era soffermato a smascherare il boia del poeta di
Orihuela.
Stando all’indagine di Ríos, nella primavera del 1939 il
magistrato passò dalla parte dei nacionales [così si autodefinivano i militari sollevatisi il 18 luglio 1936 contro
il legittimo governo della Repubblica], una volta conclusa la
Guerra Civile, e fu poi il giudice istruttore di decine di condanne a carico di
giornalisti, scrittori, umoristi o fotografi, in qualità di titolare del
Tribunale Speciale per la Stampa. «I particolari del processo di Miguel
Hernández erano noti, ma non il dettaglio del personaggio che inflisse la pena
al poeta oriolano», assicura Ríos, secondo il quale il giudice e il poeta non
si sarebbero incontrati a Madrid prima del 1936, giacché «i loro mondi erano
antitetici». Ciò nonostante, il docente conclude che il magistrato ebbe
«coscienza piena e sapeva perfettamente chi era Miguel Hernández, quando emise
il verdetto di condanna».
El Heraldo pubblicò il 1º maggio
1930: «Manuel Lázaro bilancia la sua prosa con il suo ingegno e il suo acume,
ma quando riapparve Manuel Martínez Gargallo, il collaboratore di tante riviste
e antologista dei suoi stessi colleghi si trasformò in fustigatore di eretici,
molti dei quali conoscenti o sodali». Da giudice, non gli tremò il polso a
condannare suoi ex-colleghi di professione, addirittura in qualche caso «fu
capace di trasformare una pena iniziale a 12 anni in un’altra a morte». Il
fatto è, sottolinea il docente dell’Università di Alicante, che «l’inquadramento
dei reati nei diversi articoli del Codice di Giustizia Militare consentiva
qualsiasi arbitrarietà senza rischi di ricusazione».
Una sentenza che è arrivata alla
Corte Costituzionale
Ezequiel Moltó
Alicante
El
País,
12 maggio 2014
La condanna a morte del
poeta Miguel Hernández fu ingiusta e il suo processo pieno zeppo di irregolarità, a detta dei
familiari dello scrittore, morto in un carcere di Alicante nel 1942, e della
Commissione Civica per il Recupero della Memoria Storica di Alicante. La
famiglia di Miguel Hernández iniziò nel 2010 una crociata per far annullare da
un tribunale democratico la sentenza del consiglio di guerra franchista che
aveva condannato a morte il poeta nel 1940. Franco gli aveva commutato la pena
in 30 anni di reclusione, per evitare di trasformarlo in un altro Lorca, ma nel
1942 Miguel Hernández era morto in conseguenza delle dure condizioni di
prigionia. I suoi discendenti si rivolsero al Tribunale Supremo affinché fosse chiarito che quel 28 marzo 1942
era morto un uomo «innocente», per dirla con parole della nuora Lucía
Izquierdo.
La Sezione Militare
del Tribunale Supremo, un anno
dopo, nel febbraio 2011, denegò la revisione della condanna a morte del poeta, respingendo
la richiesta della famiglia di ricorso straordinario avverso la sentenza emessa
il 18 gennaio 1940 dal Consiglio Permanente di Guerra n. 5 di Madrid a carico
di Miguel Hernández, imputato di un reato di Adesione alla Rivolta previsto
dall’art. 238.2º del Codice di Giustizia Militare del 1890.
La Sezione denegò
l’interposizione del ricorso per infondatezza, «secondo le disposizioni della
legge della Memoria Storica», dato che tale condanna per motivi politici e
ideologici è stata riconosciuta da questa legge radicalmente ingiusta e dichiarata
illegittima per vizi di forma e di sostanza, in quanto priva oggi di vigenza
giuridica.
I familiari non si dettero
per vinti e si appellarono alla Corte Costituzionale per prospettare la nullità
della condanna a morte del poeta del 1940. Secondo le informazioni fornite
dalla Commissione Civica per il Recupero della Memoria Storica di Alicante,
l’Alta Corte in un atto del 26 settembre 2012 non accolse neppure l’inoltro del
Ricorso di Tutela Costituzionale presentato dalla famiglia di Miguel Hernández, in
cui si richiedeva l’incostituzionalità della decisione del Tribunale
Supremo con la quale si rigettava l’istanza di revisione della
sentenza che nel 1940, a seguito di un processo sommario e senza garanzie di
sorta, aveva sancito la condanna a morte dell’immortale poeta.
L’avvocato della famiglia,
Carlos Candela, lamentò in quell’occasione che la Corte «non avesse esaminato a
fondo il ricorso» e in poche frasi si fosse limitata a «manifestare – affermò
testualmente – l’inesistenza della violazione di un diritto fondamentale
salvaguardabile con la tutela costituzionale».
Fonte
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