28 maggio 1974
CASA DELLA MEMORIA
Brescia.
Nell'anniversario della strage di piazza della Loggia molte
iniziative in città. Mentre ricomincia il processo per due degli
imputati assolti in primo e secondo grado. Vedremo se la
desecretazione degli atti servirà a qualcosa.
Andrea Tornago
Brescia
quarant’anni dopo, strage ancora senza un colpevole
Quarant’anni. Un
tempo sufficiente a veder passare due
generazioni. Nelle scuole, nei partiti, nei
sindacati, in città. E ancora per la
magistratura non c’è un colpevole per la
strage del 28 maggio 1974. Quella bomba nascosta in un
cestino, esplosa in Piazza della Loggia mentre era in
corso una manifestazione antifascista,
fece otto morti e più di cento feriti. E fu forse
l’attentato più gravido di implicazioni della
stagione delle stragi: colpì al cuore il movimento dei
lavoratori, nella città con il fermento
sindacale più temibile in Italia, sul
crinale degli anni ’70.
Le Poste Italiane
hanno deciso di dedicare un francobollo al
quarantesimo anniversario della
strage di Piazza Loggia, mentre nelle aule
giudiziarie ricomincia — come
disposto lo scorso 21 febbraio dalla Cassazione
— il processo a carico di due degli imputati
assolti in primo e secondo grado: il capo
dell’organizzazione neofascista veneta Ordine
Nuovo, Carlo Maria Maggi, e il collaboratore
del Sid, l’allora servizio segreto militare,
Maurizio Tramonte.
Nei loro confronti,
ha stabilito la suprema corte, si è verificato
«un ipergarantismo distorsivo della
logica e del senso comune» che ha portato
a conclusioni «illogiche
e apodittiche» da parte dei giudici
della corte d’Assise d’Appello di Brescia, che il 14
aprile 2012 aveva assolto tutti gli imputati. Tramonte
(la «fonte Tritone» del Sid), considerato
informatore ed infiltrato dei servizi negli
ambienti della destra eversiva, era un personaggio
troppo interno ai neofascisti veneti e «non
raccontava al maresciallo Felli — scrivono
i giudici di Cassazione — tutto cio’ che
sapeva o aveva fatto».
Mentre nei
confronti di Maggi, medico veneziano e capo
indiscusso di Ordine Nuovo, sarebbero stati sviliti
numerosi indizi, come il sostegno allo stragismo
eversivo di destra e il fatto che «l’ordigno
esplosivo sia stato confezionato
utilizzando la gelignite di proprietà di
Maggi e Digilio», neofascista esperto
di esplosivi — quest’ultimo — legato ai servizi
statunitensi, morto nel 2005.
Ma ormai le prove che
dovevano sparire sono sparite (la piazza fu
«lavata» immediatamente dopo l’attentato) e le
informative che non dovevano arrivare non
sono arrivate. Come quella inviata dai servizi segreti
dal centro di Padova a Roma, indirizzate
all’allora capo del Sid, Gianadelio Maletti,
e riguardante la riunione in cui si sarebbe deciso
l’attentato: «Maletti su una di queste informative
scriverà: “Notizia importante, passare
alla magistratura” — ricorda Manlio Milani,
presidente dell’associazione famigliari delle
vittime della strage di Piazza Loggia — Ma alla
magistratura non arriveranno mai».
Al di là delle trame
e dei contatti assodati tra i servizi
e gli estremisti di destra «l’ultima sentenza
— spiega ancora Milani — ha fissato alcuni elementi
importanti: è assodato che tra il ’69 e il
’74 ha operato un unico gruppo neofascista
facente capo a Ordine Nuovo. E che colui che ha
costruito l’ordigno portato in Piazza Loggia, Carlo
Digilio, era già stato condannato per la strage
di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969. Questo
certifica la continuità di quel progetto».
Accanto all’infinita
vicenda giudiziaria, da tempo ormai la memoria
della strage di Brescia percorre binari propri.
Una memoria che ha elaborato — fin da subito —
la consapevolezza di dover separare la
verità storica dalle indagini della magistratura.
Il 28 maggio ’74 a Brescia morirono otto
persone. Tra di loro c’era un gruppo di insegnanti,
che si era riunito intorno alla colonna dove scoppiò
la bomba, che in quegli anni avevano contribuito
a fondare le sezioni sindacali della scuola:
Giulietta Banzi, Livia Bottardi, Alberto Trebeschi,
Clementina Calzari e Luigi Pinto
insegnavano nei licei e nelle scuole medie della
città. Insieme a loro morirono due lavoratori,
Vittorio Zambarda e Bartolomeo
Talenti, ed Euplo Natali, operaio in pensione.
E se
l’anniversario del 28 maggio è rimasto vivo
fino ad oggi, forse, lo si deve anche alle scuole. Da
quarant’anni, i colleghi degli insegnanti
caduti il 28 maggio e gli studenti di allora —
diventati a loro volta docenti — tengono viva la
memoria della strage insieme ai famigliari delle
vittime. «La città ancora una volta sente la voglia e la
necessità di ritrovarsi, lo dimostra la miriade
di iniziative che ci saranno oggi» spiega ancora
Manlio Milani.
A ricordare
la strage di Brescia oggi alle 11,30 saranno presenti
in città, insieme alle autorità locali, anche il sindaco
di Milano Giuliano Pisapia e il sindaco di
Bologna Virginio Merola, due città a loro
volta duramente colpite dalle stragi. Nel pomeriggio,
come ogni anno, la piazza si colorerà di iniziative
promosse dal comitato «Piazza di Maggio», con un
intervento del fondatore di Libera, Don Ciotti.
Nel salone Vanvitelliano, la sala di
rappresentanza del Comune, è stata
allestita la mostra «Sguardi sospesi» di Albano Morandi
e Ken Damy, con i volti dei manifestanti
negli istanti successivi alla strage, fotografati
allora proprio da Ken Damy e dal collettivo
fotografico La Comune.
il manifesto - 28 Maggio
2014
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