In una biografia di
Sandra Petrignani da poco in libreria la vita tempestosa di
Marguerite Duras.
Pierluigi
Battista
Nevrotica,
bollente, unica Duras
La vita
di Marguerite Duras è stata tempestosa, appassionata, segnata
dall’eccesso. Raccontarla è impresa spericolata. Un impegno
che però si è sobbarcato Sandra Petrignani, che con questo
Marguerite (Neri Pozza) ha restituito nella sua pienezza
letteraria ma soprattutto esistenziale la figura di una
scrittrice che è stata un pilastro del mondo intellettuale
francese del dopoguerra.
Una presenza irregolare e mercuriale,
un uragano di idee e di emozioni che hanno fatto irruzione
nella vita di uomini condannati a perdere la testa per la
Duras, di cineasti e scrittori che sono stati travolti da
collaborazioni impossibili, di una madre complicata che non le
ha mai perdonato di averla maltrattata nelle pagine di un
romanzo, sminuendo l’eroismo di una donna restata vedova e
costretta a resistere alla forza di un destino ingrato e di un
oceano, il Pacifico, inarginabile.
Come sa chi ha letto
L’amante o visto il film che Jean-Jacques Annaud ne ha ricavato,
Marguerite Duras ha trascorso l’infanzia e l’adolescenza in
Indocina, dal Vietnam alla Cambogia, portata da vicende familiari
molto complesse e che comunque hanno depositato nella sua vita il
senso di uno spaesamento mai più recuperato anche dopo decenni di
«stanzialità» a Parigi.
L’avventura della sua
vita, raccontata dalla Petrignani in un romanzo che non esita a
inserire i dettagli biografici della Duras nella cornice narrativa di
un’emotività nevrotica e ribollente di colpi di scena e colpi di
testa, fu anche il tentativo disperato e mai raggiunto di trovare
un’àncora di salvezza e di stabilità. Tentativo frustrato nella
letteratura, inseguendo un ideale di purezza che mise la Duras in
conflitto con editori, recensori, registi che volevano tradurre sullo
schermo le sue opere o collaborare con la scrittrice per imprese
ardue, di difficilissima collocazione nel mercato. Tentativo
frustrato nella sua vita sentimentale, burrascosa e volubile, e in
quella sessuale, bulimica, furiosa, errabonda, traditrice.
Tentativo frustrato
nella politica. La Duras entrò nella Resistenza tardivamente, dopo
aver accettato una posizione di acquiescenza durante l’occupazione
nazista. Avrebbe potuto salvarla la militanza nella sinistra. Ma una
libertaria indomabile e irriducibile come lei, che pure cercava nel
Partito comunista quella che Sandra Petrignani chiama «una comunità
zattera», non poteva respirare nell’atmosfera del Pcf della fine
degli anni Quaranta, un partito «contro i “pederasti”, contro
l’esistenzialismo, contro tutto ciò che nei comportamenti
individuali minaccia la serietà, la centralità della famiglia. È
contro per principio a quel che viene dall’America».
E perciò la Duras, insieme ai suoi amici e amanti più cari, venne accusata dal partito di ogni nefandezza, compresa l’«assiduità in locali notturni ove regna la corruzione politica, intellettuale e morale e si esibisce una nemica del popolo come Juliette Gréco», e infine radiata, costretta a lasciare quella comunità.
Marguerite Duras non voleva accettare compromessi, limitazioni, regole dettate dal buonsenso. Sandra Petrignani ci descrive una figura fragilissima ma dispotica, assediata dall’alcol ma sempre all’erta per restare lucida e non cedere al conformismo nemmeno un millimetro della sua esistenza. Una donna che sapeva distruggere relazioni con un autolesionismo patologico. Che conduceva una sua personale guerra con l’establishment culturale della Francia perbenista e accomodante, anche a costo di mettere in pericolo collaborazioni, progetti, sceneggiature, sicurezze editoriali.
La Duras ha contato
moltissimo nella vita culturale della Francia e dell’Europa, ma
avrebbe potuto contare ancora di più se anche gli ambienti aperti e
sofisticati dell’intellighentsjia non fossero stati intossicati da
un convenzionale ossequio alle regole della superiorità maschile,
arbitrarie e decisamente immeritate. Un’intellettuale vulcanica che
ha scritto molto. Alcuni romanzi bellissimi, altri più segnati da
un’ostinazione sperimentale che voleva essere una sfida al senso
comune ma che qualche volta finiva per umiliare anche il lettore.
La Petrignani racconta bene il senso di un’ingiustizia, lo stato di minorità che la vicenda della Duras ancora soffre se confrontata con la fama di altri scrittori e filosofi suoi contemporanei di talento inferiore eppure premiati oltre misura. Non è un risarcimento postumo, ma la ricostruzione di un percorso esistenziale accidentato eppure affascinante, atipico, non rinchiuso nelle poche certezze di una vita borghese di routine anche se baciata dal successo letterario e dalle mitologie nate nei caffè e nei bistrot della rive gauche. Il romanzo di una vita, di una vita difficile e tumultuosa. E proprio per questo sempre eccessiva, nel bene come nel male.
Il Corriere della sera –
26 maggio 2014
Sandra Petrignani
Marguerite
Neri Pozza, 2014
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