Nel ricordare che abbiamo aperto questo blog con una recensione di uno degli ultimi libri di Ermanno Rea http://cesim-marineo.blogspot.it/2011/08/la-fabbrica-dellobbedienza.html
non possiamo non dare oggi la sorprendente (?) notizia di un "processo" cui venne sottoposto il giovane scrittore napoletanto da un dirigente comunista (allora stalinista togliattiano) che ha fatto una straordinaria carriera:
Ermanno Rea:
"Napolitano mi
processò per il mio libro"
Intervista di Fabrizio d'Esposito
Ermanno Rea viene da
lontano. Non solo per l’età, dal momento che ha 87 anni. La
politica per lui, scrittore giornalista e anche fotoreporter, resta
un concetto denso, profondo, tipografico, non televisivo. Tipico per
un comunista antico. Argomenta la sua candidatura nella lista Tsipras
per le Europee, capolista al sud, e parte da una vicenda dimenticata
degli anni Quaranta e Cinquanta a Napoli: il gruppo gramsciano di
Guido Piegari e Gerardo Marotta, osteggiato dal Pci di Togliatti,
Amendola e del giovane Napolitano. Una storia, questa, che sarà un
capitolo aggiuntivo a uno dei suoi libri di maggior successo,
bellissimo: Mistero napoletano.
Vent'anni dopo la pubblicazione per Einaudi, ritorna in libreria con Feltrinelli. Ma per la “coda” inedita bisognerà aspettare un altro po’. Rea la sta scrivendo in questi giorni. Prende in mano una copia di Mistero napoletano, la alza e spiega: “Nella seconda parte del libro ho già scritto di Piegari. All’epoca avevo raccolto una testimonianza drammatica che raccontava la pazzia di Piegari, perché cacciato dal Pci, ma lui era ancora vivo e non la inserii. Adesso è il momento. Vede, Piegari era un personaggio geniale e la sua polemica nei confronti del meridionalismo di Amendola ha una straordinaria attualità. Per Piegari, l’unità nazionale era decisiva per la questione del Mezzogiorno. Oggi, gramscianamente parlando, lo stesso vale per l’unità politica europea”.
Come sottotitolo, Mistero
napoletano, recita: “Vita e passione di una comunista negli anni
della guerra fredda”. Ossia la vita di una figura tragica e sublime
del Pci napoletano di quegli anni: Francesca Spada, che si suicidò
nel Venerdì Santo del 1961. Francesca è il fantasma che compare
nella scalata del Vesuvio che Mario Martone fa fare ad Antonio
Bassolino, interpretato da Toni Servillo, nella Salita, episodio del
film I Vesuviani.
La Spada aveva una
relazione con Renzo Lapiccirella, altro comunista di genio e
antistalinista del Pci napoletano. Lo stalinismo togliattiano è la
chiave per decifrare tutto, “come gestione dispotica del potere,
come strumento di polverizzazione di ogni forma di dissenso, come
complotto, menzogna, trama, morta gora”.
Per i quadri del Partito,
Francesca era “puttana” ed eretica. Ancora dal libro: “Lo
stalinismo fu anche questo: continua violazione dell’altrui vita
privata, ipocrisia di stampo moralistico, maschilismo”.
Ed è per questo che
quando Mistero napoletano uscì, nel 1995, Giorgio Napolitano e tutti
gli amendoliani superstiti, poi miglioristi, non gradirono. Di più
si arrabbiarono e tentarono di boicottare e ignorare il libro.
L’attuale capo dello Stato, di estrazione borghese, fu allevato nel
Pci di Napoli dallo stalinista Salvatore Cacciapuoti, su mandato di
Giorgio Amendola. Rea ha uno sguardo dolce. Negli anni di “Francesca”
e “Renzo”, lavorava all’ufficio partenopeo dell’Unità: “Io
volevo fare il professore, mi presentai al partito e dissi: ‘Sono
qui, come posso dare una mano?’”.
Racconta: “Con
Napolitano ho litigato per il libro. Non una cosa diretta, più
obliqua, critiche riferite da più persone. Cascai pure in una
trappola preparata dai miglioristi di Napoli. Mi invitarono a una
presentazione che si trasformò in un piccolo processo. Ma fu tutto
il partito che perse un’occasione per discutere, che preferì
rimuovere. Ricordo che Nilde Iotti si rifiutò di rispondere sulla
questione, infastidita”.
Un altro modo, stalinista, per stroncare Mistero napoletano fu quello di degradarlo a romanzetto: “Fu Maurizio Valenzi, di cui ho un grande ricordo, a spronarmi polemicamente: ‘Dillo apertamente che hai scritto un romanzo’”. Nel corso dei decenni, Napolitano ha revisionato gran parte della sua parabola comunista, ma sul suo periodo stalinista napoletano ha concesso poco o nulla. Solo fastidio e irritazione, come nel caso dell’opera di Rea.
Continua lo scrittore: “Dopo il litigio di vent’anni fa, ci sono stati incontri successivi per chiarirci. Di Napolitano ho apprezzato la prima fase del suo settennato, poi dopo per me è stato tutto incomprensibile. Va svilendo il suo passato di cui io stesso sono stato critico. Non lo capisco. Dovrebbe tutelare meglio il suo passato, anche perché è diventato un moderato troppo spinto, difficile da comprendere. E poi, qualunque cosa sappia più di noi, non giustifica tutto quello fa”.
Rea si alza. Sono quasi
le diciotto. Tra poco, suo figlio Carlo, artista, inaugura una mostra
personale a Roma. E la campagna elettorale? “Ho aderito alla lista
Tsipras perché è la forza a me più vicina. Quando mi hanno chiesto
di candidarmi, ho risposto: ‘Tenete presente la mia età, ma se voi
ritenete che il mio nome possa attrarre voti, sono qua’”. Ermanno
Rea. Dopo una vita come la sua, sì, basta il nome.
il Fatto – 29 aprile
2014
Nessun commento:
Posta un commento