Parola della Ministra della guerra:
Roberta
Pinotti
“Italia pronta
a intervenire in Ucraina”
Intervista
di Francesco Bei
Di fronte a quello che
sta accadendo non possiamo e non vogliamo solo stare a guardare». È
questa la premessa di Roberta Pinotti, ministro della Difesa
italiano, riguardo all’escalation della guerra civile in Ucraina.
Per ricondurla sui binari della diplomazia l’Italia getta per prima
sul tavolo una proposta per raffreddare la crisi. «Se dovesse
servire - dichiara il ministro Pinotti - l’Italia è disponibile
anche ad inviare un contingente di peacekeeper”.
Ministro, molti italiani temono in queste ore di essere alla vigilia di un nuovo conflitto europeo. Siamo a questo punto?
«La situazione è molto
preoccupante e il governo non la sottovaluta. Non penso siamo alla
vigilia di una guerra europea. Detto questo - e ne ho parlato anche
con il ministro degli Esteri - non possiamo stare a guardare. Certo,
senza agire da soli, ma attraverso l’Onu, la Nato e
l’Unione europea».
Si potrebbero inviare delle forze di interposizione?
«Anche la Russia ha
ammesso che i rivoltosi sul campo sono sfuggiti a ogni controllo. Noi
italiani, insieme alla Germania, abbiamo finora lavorato per evitare
che le sanzioni alla Russia dessero adito a una escalation difficile
da controllare. Noi siamo disponibili a fare di più».
Caschi blu italiani?
«Nessuno ha avanzato
questa richiesta, ma se dovesse servire dobbiamo essere disponibili
anche a questo. Non dimentichiamoci che nel 2006 l’Italia è stata
protagonista, in occasione della guerra tra Israele e Libano,
inviando un forte contingente di interposizione. I nostri
militari sono lì, fanno il loro dovere e da allora non ci sono
stati più scontri. Recentemente ho incontrato le autorità libanesi
che ci hanno ringraziato e ci chiedono di rimanere».
Ci dobbiamo preparare dunque a una nuova missione?
«Ancora non siamo a
questo, parlare di invio di peacekeeper è prematuro, ma dobbiamo
essere pronti. Al momento il nostro sforzo politico e diplomatico è
quello di tornare indietro allo spirito dell’accordo di Ginevra».
Mai un sistema d’arma aveva infiammato il dibattito politico nel paese come il nuovo caccia F-35. Bisogna risalire alle manifestazioni degli anni Ottanta contro i missili Cruise e Pershing per ricordare un’ondata simile di opposizione. Come mai?
«In Italia, purtroppo,
c’è ancora poca “cultura della difesa”. Per molti non è
ancora chiaro che Difesa non significa voglia di aggredire.
Difendersi significa proteggersi. E per farlo a volte occorrono anche
delle armi sofisticate. Armi in grado, per esempio, di distruggere in
sicurezza, da lontano, una base per prevenire il lancio di un missile
contro obiettivi italiani.
Vanno bene le critiche, a patto di guardare cosa succede in Libia, in Siria, in Ucraina. I conflitti intorno a noi, purtroppo, esistono».
Vanno bene le critiche, a patto di guardare cosa succede in Libia, in Siria, in Ucraina. I conflitti intorno a noi, purtroppo, esistono».
F-35 perché? È costoso, il software è tutto americano, non funziona bene. Le critiche tra gli esperti di difesa si sprecano. E non parliamo di pacifisti...
«Ogni sistema ha bisogno
di tempo per essere sviluppato. Certo oggi questo aereo sembra
diventato il simbolo del male, ma mi sembra che ciò sia dovuto
soprattutto alla campagna elettorale in corso. Come se lo avessimo
scoperto adesso! Il programma del nuovo caccia parte nel 1998 e sarà
portato a compimento soltanto nel 2030. Ma prima di parlare di F-35,
di quanti ne dobbiamo acquistare, noi abbiamo deciso di partire da un
approccio nuovo, il Libro Bianco: ci dirà quali minacce dovrà
affrontare l’Italia e quali mezzi di difesa serviranno”.
Intanto si è parlato di un dimezzamento, da 90 a 45, del piano di acquisto degli F-35.
Conferma?
«Non confermo e non smentisco, semplicemente ribadisco che non sarebbe serio dare numeri ora. Non escludo che il JSF si possa ridurre, lo hanno già fatto altri Stati. Servono tuttavia analisi strategiche su cui basare le nostre esigenze, non possiamo parlare solo di tagli perché forse producono consenso».
Tagli alle spese militari comunque ne farete?
«Il Sipri - Stockholm
International Peace Research Institute - ha fatto un’analisi della
spesa militare degli ultimi dieci anni ed è venuto fuori che
l’Italia ha ridotto il suo budget del 26 per cento, contro un 6,4
della Francia e il 2,5 della Gran Bretagna. Possiamo ancora ridurre.
Da qui al 2024 gli effettivi passeranno da 190 a 150 mila, i civili
da 30 a 20 mila, ci sarà una riduzione del 30 per cento degli
ufficiali. Abbiamo individuato oltre 380 caserme da chiudere e 1500
cespiti militari da mettere a disposizione della comunità. Nessuna
altra amministrazione ha fatto altrettanto”.
La Repubblica – 4
maggio 2014
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