31 maggio 2014

PER LA RINASCITA DELLA SINISTRA IN ITALIA






Non nascondiamo che la sconfitta dei fascistelli (a loro insaputa) del M5S ci abbia fatto piacere e che la vittoria di Renzi sia nel quadro attuale il male minore. Resta il fatto che, pur raggiungendo il quorum e dunque un risultato positivo, la sinistra abbia ancora perso voti (oltre 700 mila) rispetto alle politiche di un anno fa. Niente trionfalismi, dunque, ma una seria riflessione sul come ripartire per rilanciare la presenza anche in Italia di una sinistra alternativa ad una politica (PD) incapace di pensare l'esistente al di fuori della logica del capitale. I segnali che ci arrivano da SEL e PRC non ci paiono incoraggianti. Da un lato la tentazione dell'accodamento opportunistico al carro dei vincitori, dall'altro un massimalismo nostalgico e identitario del tutto privo di prospettive. Tacciamo, per pudore, dell'estremismo infantile da terzo periodo dei residuati groppuscolari tipo Rossa, PCL et similia. Importante invece il segnale che viene dai movimenti di cittadinanza attiva e da una parte del mondo intellettuale.
Alfonso Gianni

In Italia la sinistra ricomincia da quattro

 Il voto di dome­nica, richiama innan­zi­tutto una let­tura euro­pea che non si pre­sta a giu­dizi sem­pli­fi­cati. Per alcuni paesi, come il nostro o la Fran­cia si è trat­tato di un vero ter­re­moto; nel con­tempo, pur mar­cando inquie­tanti suc­cessi, le destre anti­eu­ro­pei­ste non tra­vol­gono i rap­porti di forza nel par­la­mento euro­peo, ove aumenta di con­si­stenza l’area di un euro­pei­smo cri­tico da sini­stra attorno a Tsi­pras. I popo­lari, pur restando primi, indie­treg­giano e non poco, la stessa cosa fanno i social­de­mo­cra­tici, sep­pure in misura minore.
Nel con­tempo per la prima volta dal 1979 la per­cen­tuale dei votanti non è scesa, se non di un deci­male, atte­stan­dosi sul 43%. In Ita­lia è invece dimi­nuita for­te­mente, del 7,7%, scen­dendo sotto il 60% per la prima volta in una ele­zione di carat­tere generale.
La strada delle lar­ghe intese sul modello tede­sco con­ti­nua a essere la più pro­ba­bile in quel di Stra­sburgo, anche se le figure di rife­ri­mento pos­sono cam­biare. Né Junc­ker né Schulz escono dalla con­tesa in grande salute ed è pos­si­bile che il ruolo di pre­si­dente della com­mis­sione possa andare ad altri. Mat­teo Renzi pro­getta di chie­dere il posto per qual­cuno dei suoi, in subor­dine di aspi­rare alla carica di mini­stro degli esteri, in sosti­tu­zione della scialba Ash­ton, o di avere il ricco por­ta­fo­glio dell’Agricoltura. Insomma il par­tito di Renzi si pre­para a con­tare di più in Europa, al di là del pros­simo seme­stre ita­liano. Men­tre il duo­po­lio Fran­cia – Ger­ma­nia su cui si era fon­data tutta la costru­zione poli­tica, eco­no­mica e isti­tu­zio­nale euro­pea da Maa­stri­cht in poi è tra­volto dal disa­stro francese.
Que­sti cam­bia­menti e nello stesso tempo il per­du­rare e il con­fer­marsi di vec­chie ten­denze, pro­du­cono un effetto di spiaz­za­mento anche nei giu­dizi di intel­let­tuali da sem­pre attenti alla dimen­sione euro­pea (si parva licet com­po­nere magnis). Ulrich Beck pro­clama la fine dell’austerità. E’ vero che la Mer­kel appare più sola nel con­te­sto euro­peo; soprat­tutto la Bce nella sua immi­nente riu­nione dei primi di giu­gno si appre­sta ad abbas­sare verso lo zero i già bas­sis­simi tassi di inte­resse e di ren­derli nega­tivi per osta­co­lare i depo­siti delle ban­che presso l’istituto di Fran­co­forte che ini­bi­scono il cre­dito alle imprese e alle per­sone; dun­que che qual­che misura con­tro la defla­zione e la reces­sione verrà presa.
Ma risulta dif­fi­cile pen­sare che una teo­ria come quella dell’austerità espan­siva, fal­si­fi­cata dall’evidenza dei fatti e delle cifre, possa essere supe­rata per auto­ri­forma, senza che com­paia a con­tra­starla una teo­ria almeno di uguale forza e capa­cità di attra­zione. Que­sta c’è, ma per ora vive solo nei pro­grammi che hanno por­tato all’affermazione le liste che face­vano rife­ri­mento a Tsi­pras e poco più. Quello che è vero, e le con­se­guenze sono ancora peg­giori, è che le teo­rie del rigore rivi­vono nella dimen­sione della pre­ca­rietà espan­siva, ovvero delle deva­stanti misure strut­tu­rali che pre­ca­riz­zano defi­ni­ti­va­mente il lavoro, su cui il nostro governo si è par­ti­co­lar­mente distinto con il decreto Poletti.

Dal canto suo Alain Tou­raine, prima invoca un sus­sulto repub­bli­cano in Fran­cia per con­te­nere l’ondata popu­li­sta dei Le Pen, poi con­si­glia di dare più poteri al primo mini­stro Manuel Valls, ovvero al più destrorso della scom­bic­che­rata com­pa­gine di Hol­lande, il che pro­vo­che­rebbe esat­ta­mente l’effetto oppo­sto se è vera la sua ana­lisi di una “con­nes­sione sen­ti­men­tale” fra il Fn e gli strati popolari.
In que­sto qua­dro assume una impor­tanza deci­siva l’affermazione di liste che fanno rife­ri­mento a Tsi­pras o che chie­dono di fare gruppo assieme — come “Pode­mos” la for­ma­zione elet­to­rale che trae ori­gine dal movi­mento degli indi­gna­dosspa­gnoli (che con il suo 8% ha eletto ben 5 depu­tati) – e natu­ral­mente il risul­tato di Syriza che lo con­ferma primo par­tito in Gre­cia. E’ dall’insieme di que­ste forze che biso­gna ripar­tire per met­tere seria­mente in crisi le poli­ti­che di auste­rità, evi­tare la loro cama­leon­tica ripro­po­si­zione e inver­tire la rotta verso poli­ti­che anti­ci­cli­che, soli­dali e occupazionali.
La vicenda ita­liana è con­tras­se­gnata dall’enorme balzo in avanti del Pd su livelli che solo la vec­chia Dc aveva toc­cato in un lon­tano pas­sato e dalla scon­fitta secca del M5Stelle che cede soprat­tutto voti all’astensione. Chi aveva pen­sato a un neo­bi­po­la­ri­smo Renzi-Grillo deve rive­dere le sue ana­lisi. Ver­rebbe da dire che dal bipar­ti­ti­smo imper­fetto di cui par­lava lo sto­rico Gior­gio Galli, basato sul duo­po­lio Dc-Pci (con la con­ven­tio ad exclu­den­dum nei con­fronti di quest’ultimo) si stia pas­sando a un mono­par­ti­ti­smo imper­fetto, fon­dato sul Pd e su un sistema di par­titi il mag­giore dei quali non rag­giunge che la metà dei suoi voti.
In que­sto qua­dro è evi­dente che l’espressione stessa cen­tro­si­ni­stra, con o senza trat­tino, ha perso ogni signi­fi­cato. Almeno per quanto riguarda il governo nazio­nale. Vel­troni non ha torto di gon­go­lare, anche se il par­tito a voca­zione mag­gio­ri­ta­ria che lui aveva pen­sato, man­dando in crisi di fatto il secondo governo Prodi e ria­prendo la strada a Ber­lu­sconi, si rea­lizza sotto un’altra stella. Chi, d’altro canto, parla di fare un par­tito unico con il Pd, finge di non accor­gersi di pre­di­care una sem­plice confluenza.
Il quo­rum de “L’altra Europa con Tsi­pras” ha inter­rotto la serie dei fal­li­menti elet­to­rali a sini­stra. E’ vero che è un risul­tato risi­cato e che il numero di voti con­qui­stati non fa la somma delle orga­niz­za­zioni che hanno dato il loro appog­gio alla lista. Ma que­sto segnala per l’appunto la per­dita di con­sensi di que­sti micro par­titi e la scelta vin­cente di dare vita a una lista di cit­ta­di­nanza.

Inter­rom­pere que­sta espe­rienza sarebbe un sui­ci­dio senza resur­re­zioni. Lo sarebbe anche per la demo­cra­zia ita­liana che vedrebbe ulte­rior­mente ristretta le pos­si­bi­lità di espres­sione e rap­pre­sen­tanza poli­tica, aprendo a nuove derive neoau­to­ri­ta­rie. Aprire una fase costi­tuente di una forza di sini­stra, dal basso e dall’alto, sul piano della pro­du­zione cul­tu­rale e dell’elaborazione poli­tica, come su quello della prassi nei movi­menti è il com­pito che ci spetta.
il manifesto - 31 Maggio 2014

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