Martin Heidegger
Esce in Italia I
filosofi di Hitler» di Yvonne Sherratt ed è subito polemica.
Marco Pacioni
Il sistema
diabolico del totalitarismo
«È giusto
insegnare nozioni di fisiologia in grado di
salvare vite umane, ma basate sulle conoscenze
acquisite mediante gli esperimenti condotti
sugli ebrei durante il Terzo Reich?». Questo il punto
da cui parte il libro di Yvonne Sherratt, I filosofi
di Hitler (trad. it. di Francesca Pe’,
Bollati Boringhieri, pp. 336, euro 19.00). La
studiosa si chiede se sia legittimo fare la stessa
cosa con le idee di filosofi come Heidegger,
Schmitt, Frege che hanno aderito al nazismo
o espresso condivisione per certi
aspetti della politica di Hitler. Per rispondere
a questa domanda, prende in considerazione
le loro biografie. Quasi nulla invece si dice su
ciò che questi filosofi hanno scritto. Poco
o niente sul rischioso e più difficile
esercizio di reperire nella loro opera
concetti che misurino i legami con il
nazismo.
Alle vite dei
filosofi hitleriani, gruppo assai eterogeneo
e spesso in conflitto(oltre a Heidegger,
Schmitt, Frege e lo stesso Hitler, anche
Rosemberg, Bäumler, Krieck, Grunsky, Grau,
Wundt, Erich Rothacker, Faust, Schulze-Sölde, Georg
Stieler, Heyse), Sherratt contrappone
quelle dei filosofi ebrei perseguitati
dal nazismo. Benjamin, Adorno, Horkeimer,
Marcuse che, oltre ad essere stati perseguitati,
non avrebbero neanche goduto di una
considerazione comparabile
a quella dei loro avversari dopo la fine di
Hitler. E in particolare, una vera
e propria damnatio memoriae,
secondo la studiosa, sarebbe quella toccata a Kurt
Huber.
Il libro di
Sherratt si sofferma su una serie di atti,
adesioni, avalli al regime di Hitler. Ripete cose note
per suscitare esecrazione con epiteti
a volte paradossalmente simili a quelli
della propaganda. Come se tutte le riflessioni
dei filosofi che sono stati in qualche modo amici
del nazismo fossero già iscritte in un destino di
deliberata scelta diabolica, ragione per
cui tutte le loro idee possono essere collocate
soltanto in un ambito non umano, come similmente
alla non umanità si fa riferimento quando si
utilizza l’Olocausto per sottolineare
la mostruosità di qualcosa o qualcuno.
Nel libro, i filosofi di Hitler diventano
i personaggi di un esercizio di
scrittura del vituperio. Ma esecrare è,
come mostra la parola stessa, un po’ anche sacralizzare.
Di Schmitt
e Heidegger, oltre agli episodi che
hanno determinato la loro scelta politica
nazista, si citano quasi esclusivamente
lettere private e scritti legati alla
propaganda politica e si liquida il
resto delle loro opere, anche quelle scritte prima che del
nazionalsocialismo si cominciasse
persino a parlare. Con ciò non solo non si
fa un’operazione critica, ma paradossalmente
si offre il fianco a chi nega a priori che ci
possa essere un qualsiasi rapporto di pensiero
tra le teorie di questi filosofi e il
fatto politico del nazismo al potere.
L’adesione al
nazismo per Sherratt mostra tutto quello che c’è
da vedere in questi filosofi. Ma per la stessa
ragione, in un certo senso, quella adesione può essere
usata per coprire e negare tutto. È un po’ come
è avvenuto per Adolf Eichmann e altri
nazisti che hanno negato di essere responsabili
per aver agito in osservanza della legge, aver di fatto
accettato la situazione che c’era, aver
obbedito agli ordini. Appellarsi a un
giudizio meramente legalistico come
fa Sherratt, specialmente in ambito
filosofico, può paradossalmente
diventare un boomerang. In questi casi,
se l’obiettivo è anche giudicare il
pensiero oltre le persone che di questo sono
responsabili, allora occorre prendere in
esame anche le loro idee e le loro opere. Il giudizio
non può restringersi soltanto alla pur
importante adesione o non adesione al
nazismo.
Quello che
Sherratt chiama «tono narrativo» del suo
stile si risolve di frequente in inserzioni
evocatrici di scandalo, mistero, ambiguità,
come il passo seguente con il quale si vuole spiegare
il rapporto fra Heidegger e i suoi
allievi ebrei e in particolare Hannah
Arendt: «Heidegger esercitava un
fascino ipnotico sulle donne. Aveva il viso che
piaceva in quegli anni, una sorta di misto fra
Leslie Howard e James Mason. In parte si trattava
di un’attrazione sinistra, come il magnetismo
erotico di un tiranno».
Forse il
capitolo più emblematico del libro di
Sherratt è proprio quello su Hannah
Arendt. Definita sin dall’introduzione «ambigua»
perché allieva e amante di Heidegger,
Sherratt dimentica completamente
che proprio Arendt, e anche a causa della
vicinanza filosofica a certi elementi
del pensiero di Heidegger, è una delle
prime filosofe a riflettere e fornire
i mezzi per comprendere il
nazionalsocialismo, la Shoah, il
totalitarismo. Oltre a Arendt, si
potrebbe fare, ad esempio, anche il nome di Lévinas.
Quanto di ciò che quest’ultimo utilizza per capire
il nazismo e come critica filosofica
a Heidegger è preso e svolto
a partire da quest’ultimo? La stessa cosa si
potrebbe dire di Benjamin riguardo a Schmitt.
Sherratt non contempla mai l’idea che il
pensiero di un filosofo possa essere anche rivolto
contro chi lo ha concepito; o che lo
stesso filosofo che lo ha generato lo sviluppi
tradendolo per motivi filosofici o di
altra natura.
Così Sherratt
non solo non chiarisce in che rapporto stiano
l’opera, la biografia e il nazismo, ma
rischia di non fare luce nemmeno su quanto di
sperimentato o argomentato nel
nazionalsocialismo sotto mentite
spoglie ci sia o ci possa essere ancora nelle
nostre democrazie. Come se, passata la
stagione diabolica del nazismo, alcuni
per non aver aderito hanno dato prova di essere
pensatori martiri; e altri, che invece
hanno aderito, di essere mostri. Ed entrambi sono
martiri e mostri a prescindere da
ciò che hanno scritto. Come se nelle democrazie
moderne si fosse al riparo da quella stagione
maledetta e l’unica preoccupazione
fosse quella di tenere sotto teca, se non di distruggere,
quelli che, con una terminologia che
ricorda quella biopolitica, Sherratt
definisce «germi della filosofia di
Hitler» e per impedire che questi
«attecchiscano tra le nuove generazioni».
il manifesto - 17 Maggio
2014
Yvonne Sherratt
I filosofi
di Hitler
Bollati
Boringhieri, 2014
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