27 maggio 2014

I FILOSOFI DI HITLER

Martin Heidegger



Esce in Italia I filosofi di Hitler» di Yvonne Sherratt ed è subito polemica.

Marco Pacioni

Il sistema diabolico del totalitarismo


«È giu­sto inse­gnare nozioni di fisio­lo­gia in grado di sal­vare vite umane, ma basate sulle cono­scenze acqui­site mediante gli espe­ri­menti con­dotti sugli ebrei durante il Terzo Reich?». Que­sto il punto da cui parte il libro di Yvonne Sher­ratt, I filo­sofi di Hitler (trad. it. di Fran­ce­sca Pe’, Bol­lati Borin­ghieri, pp. 336, euro 19.00). La stu­diosa si chiede se sia legit­timo fare la stessa cosa con le idee di filo­sofi come Hei­deg­ger, Sch­mitt, Frege che hanno ade­rito al nazi­smo o espresso con­di­vi­sione per certi aspetti della poli­tica di Hitler. Per rispon­dere a que­sta domanda, prende in con­si­de­ra­zione le loro bio­gra­fie. Quasi nulla invece si dice su ciò che que­sti filo­sofi hanno scritto. Poco o niente sul rischioso e più dif­fi­cile eser­ci­zio di repe­rire nella loro opera con­cetti che misu­rino i legami con il nazismo.

Alle vite dei filo­sofi hitle­riani, gruppo assai ete­ro­ge­neo e spesso in conflitto(oltre a Hei­deg­ger, Sch­mitt, Frege e lo stesso Hitler, anche Rosem­berg, Bäum­ler, Krieck, Grun­sky, Grau, Wundt, Erich Rothac­ker, Faust, Schulze-Sölde, Georg Stie­ler, Heyse), Sher­ratt con­trap­pone quelle dei filo­sofi ebrei per­se­gui­tati dal nazi­smo. Ben­ja­min, Adorno, Hor­kei­mer, Mar­cuse che, oltre ad essere stati per­se­gui­tati, non avreb­bero nean­che goduto di una con­si­de­ra­zione com­pa­ra­bile a quella dei loro avver­sari dopo la fine di Hitler. E in par­ti­co­lare, una vera e pro­pria dam­na­tio memo­riae, secondo la stu­diosa, sarebbe quella toc­cata a Kurt Huber.

Il libro di Sher­ratt si sof­ferma su una serie di atti, ade­sioni, avalli al regime di Hitler. Ripete cose note per susci­tare ese­cra­zione con epi­teti a volte para­dos­sal­mente simili a quelli della pro­pa­ganda. Come se tutte le rifles­sioni dei filo­sofi che sono stati in qual­che modo amici del nazi­smo fos­sero già iscritte in un destino di deli­be­rata scelta dia­bo­lica, ragione per cui tutte le loro idee pos­sono essere col­lo­cate sol­tanto in un ambito non umano, come simil­mente alla non uma­nità si fa rife­ri­mento quando si uti­lizza l’Olocausto per sot­to­li­neare la mostruo­sità di qual­cosa o qual­cuno. Nel libro, i filo­sofi di Hitler diven­tano i per­so­naggi di un eser­ci­zio di scrit­tura del vitu­pe­rio. Ma ese­crare è, come mostra la parola stessa, un po’ anche sacralizzare.

Di Sch­mitt e Hei­deg­ger, oltre agli epi­sodi che hanno deter­mi­nato la loro scelta poli­tica nazi­sta, si citano quasi esclu­si­va­mente let­tere pri­vate e scritti legati alla pro­pa­ganda poli­tica e si liquida il resto delle loro opere, anche quelle scritte prima che del nazio­nal­so­cia­li­smo si comin­ciasse per­sino a par­lare. Con ciò non solo non si fa un’operazione cri­tica, ma para­dos­sal­mente si offre il fianco a chi nega a priori che ci possa essere un qual­siasi rap­porto di pen­siero tra le teo­rie di que­sti filo­sofi e il fatto poli­tico del nazi­smo al potere.

L’adesione al nazi­smo per Sher­ratt mostra tutto quello che c’è da vedere in que­sti filo­sofi. Ma per la stessa ragione, in un certo senso, quella ade­sione può essere usata per coprire e negare tutto. È un po’ come è avve­nuto per Adolf Eich­mann e altri nazi­sti che hanno negato di essere respon­sa­bili per aver agito in osser­vanza della legge, aver di fatto accet­tato la situa­zione che c’era, aver obbe­dito agli ordini. Appel­larsi a un giu­di­zio mera­mente lega­li­stico come fa Sher­ratt, spe­cial­mente in ambito filo­so­fico, può para­dos­sal­mente diven­tare un boo­me­rang. In que­sti casi, se l’obiettivo è anche giu­di­care il pen­siero oltre le per­sone che di que­sto sono respon­sa­bili, allora occorre pren­dere in esame anche le loro idee e le loro opere. Il giu­di­zio non può restrin­gersi sol­tanto alla pur impor­tante ade­sione o non ade­sione al nazismo.

Quello che Sher­ratt chiama «tono nar­ra­tivo» del suo stile si risolve di fre­quente in inser­zioni evo­ca­trici di scan­dalo, mistero, ambi­guità, come il passo seguente con il quale si vuole spie­gare il rap­porto fra Hei­deg­ger e i suoi allievi ebrei e in par­ti­co­lare Han­nah Arendt: «Hei­deg­ger eser­ci­tava un fascino ipno­tico sulle donne. Aveva il viso che pia­ceva in que­gli anni, una sorta di misto fra Leslie Howard e James Mason. In parte si trat­tava di un’attrazione sini­stra, come il magne­ti­smo ero­tico di un tiranno».

Forse il capi­tolo più emble­ma­tico del libro di Sher­ratt è pro­prio quello su Han­nah Arendt. Defi­nita sin dall’introduzione «ambi­gua» per­ché allieva e amante di Hei­deg­ger, Sher­ratt dimen­tica com­ple­ta­mente che pro­prio Arendt, e anche a causa della vici­nanza filo­so­fica a certi ele­menti del pen­siero di Hei­deg­ger, è una delle prime filo­sofe a riflet­tere e for­nire i mezzi per com­pren­dere il nazio­nal­so­cia­li­smo, la Shoah, il tota­li­ta­ri­smo. Oltre a Arendt, si potrebbe fare, ad esem­pio, anche il nome di Lévi­nas. Quanto di ciò che quest’ultimo uti­lizza per capire il nazi­smo e come cri­tica filo­so­fica a Hei­deg­ger è preso e svolto a par­tire da quest’ultimo? La stessa cosa si potrebbe dire di Ben­ja­min riguardo a Sch­mitt. Sher­ratt non con­tem­pla mai l’idea che il pen­siero di un filo­sofo possa essere anche rivolto con­tro chi lo ha con­ce­pito; o che lo stesso filo­sofo che lo ha gene­rato lo svi­luppi tra­den­dolo per motivi filo­so­fici o di altra natura.

Così Sher­ratt non solo non chia­ri­sce in che rap­porto stiano l’opera, la bio­gra­fia e il nazi­smo, ma rischia di non fare luce nem­meno su quanto di spe­ri­men­tato o argo­men­tato nel nazio­nal­so­cia­li­smo sotto men­tite spo­glie ci sia o ci possa essere ancora nelle nostre demo­cra­zie. Come se, pas­sata la sta­gione dia­bo­lica del nazi­smo, alcuni per non aver ade­rito hanno dato prova di essere pen­sa­tori mar­tiri; e altri, che invece hanno ade­rito, di essere mostri. Ed entrambi sono mar­tiri e mostri a pre­scin­dere da ciò che hanno scritto. Come se nelle demo­cra­zie moderne si fosse al riparo da quella sta­gione male­detta e l’unica pre­oc­cu­pa­zione fosse quella di tenere sotto teca, se non di distrug­gere, quelli che, con una ter­mi­no­lo­gia che ricorda quella bio­po­li­tica, Sher­ratt defi­ni­sce «germi della filo­so­fia di Hitler» e per impe­dire che que­sti «attec­chi­scano tra le nuove generazioni».

il manifesto - 17 Maggio 2014

Yvonne Sher­ratt
I filo­sofi di Hitler
Bol­lati Borin­ghieri, 2014

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