10 maggio 2014

IL BERLUSCONISMO DOPO BERLUSCONI



Prove tecniche di autoritarismo mediatico. Renzi, ovvero il berlusconismo dopo Berlusconi.

Guido Viale

Come i media preparano un regime


Ci si chie­deva spesso, decenni fa, nelle scuole e sui media, come fosse stato pos­si­bile che nel 1931, su oltre mil­le­due­cento docenti uni­ver­si­tari, solo una quin­di­cina avesse rifiu­tato di giu­rare fedeltà al fasci­smo; e come fosse stato pos­si­bile che con loro si fos­sero alli­neati migliaia di gior­na­li­sti, di scrit­tori, di intel­let­tuali — la tota­lità di quelli rima­sti in fun­zione — con­tri­buendo tutti insieme a costruire una solida base di con­senso alla dit­ta­tura di Mussolini.

Il con­te­sto è sicu­ra­mente cam­biato, ma forse il ser­vi­li­smo è rima­sto inva­riato. Oggi, senza nem­meno l’alibi di un’imposizione da parte di un potere auto­ri­ta­rio e incon­trol­lato, a cui peral­tro anche allora molti erano già ben pre­di­spo­sti, la corsa ad alli­nearsi con il potente di turno, magni­fi­can­done qua­lità e ope­rato, ha assunto da due decenni a que­sta parte un anda­mento a valanga; per poi accor­gersi, una volta usciti tem­po­ra­nea­mente o defi­ni­ti­va­mente di scena i desti­na­tari di tanta ammi­ra­zione, che i risul­tati del loro ope­rare — del loro «fare» in campo eco­no­mico, sociale, isti­tu­zio­nale e, soprat­tutto, cul­tu­rale — erano incon­si­stenti, nega­tivi, o addi­rit­tura dram­ma­tici. Ma rima­neva tut­ta­via, in alcuni angoli riser­vati del gior­na­li­smo car­ta­ceo e tele­vi­sivo, lo sforzo di un vaglio cri­tico delle misure assunte dai governi che lasciava uno spi­ra­glio alla legit­ti­ma­zione di un’opposizione.

Da qual­che mese, al seguito della caval­cata sul nulla di Mat­teo Renzi — «dà con una mano per pren­dere con l’altra» (e molto di più) è la sin­tesi del suo ope­rato — il coro delle ova­zioni si è fatto assor­dante; lo spa­zio che gli riser­vano gior­nali e tv è tota­li­ta­rio (come docu­menta l’osservatorio sulle tv di Pavia); i toni sono peren­tori; i rimandi alle sue polie­dri­che capa­cità incon­ti­nenti; il ser­vi­li­smo degli adu­la­tori dila­gante (papa Fran­ce­sco copia «lo stile di Renzi» ci ha infor­mato un noti­zia­rio).

Non c’è più un regime fasci­sta a imporre que­sto alli­nea­mento; sono piut­to­sto que­sti alli­nea­menti a creare le solide pre­messe di un «moderno» auto­ri­ta­ri­smo. «Moderno» per­ché è quello auspi­cato dall’alta finanza, che ormai con­trolla la poli­tica e le nostre vite; come emerge anche da un docu­mento spesso citato della Banca J.P.Morgan che si sca­glia con­tro le costi­tu­zioni anti­fa­sci­ste e demo­cra­ti­che che osta­co­le­reb­bero il pro­fi­cuo svol­gi­mento degli «affari».

È l’autoritarismo per­se­guito dalle «riforme» costi­tu­zio­nali ed elet­to­rali di Renzi, tese a can­cel­lare con pre­mio e soglie di sbar­ra­mento ogni pos­si­bi­lità di con­tro­bi­lan­ciare i poteri dei par­titi — o del par­tito — al potere: non solo in Par­la­mento, ma ovun­que; a par­tire dai Comuni, non certo aiu­tati a «fare», bensì para­liz­zati dai tagli ai bilanci e dal patto di sta­bi­lità per costrin­gerli ad abdi­care dal loro ruolo, che è for­nire quei ser­vizi pub­blici locali di cui è intes­suta l’esistenza quo­ti­diana dei cit­ta­dini. Renzi, come Letta, Monti e Ber­lu­sconi, vuole costrin­gerli ad alie­narli: come aveva fatto Mus­so­lini sosti­tuendo ai con­si­gli comu­nali i suoi prefetti.

Una riprova non mar­gi­nale di que­sto clima è il modo in cui stampa e media seguono la cam­pa­gna elet­to­rale euro­pea, con­fi­nan­dola inte­ra­mente in un con­fronto Renzi-Grillo (con Ber­lu­sconi ormai ai mar­gini) privo di con­te­nuti pro­gram­ma­tici e tutto incen­trato sulle diverse forme di «cari­sma» che i due lea­der esibiscono.

In que­sto con­te­sto il silen­zio calato sulla lista L’altra Europa con Tsi­pras, l’unica che si pre­senta con un pro­gramma per cam­biare radi­cal­mente l’Europa (che è l’argomento di cui è proi­bito par­lare) e non per abban­do­narla insieme all’euro, né per con­ti­nuare sulla rotta di quell’austerity difesa e votata fino a ieri come pas­sag­gio obbli­gato per tor­nare alla “cre­scita”.

Della lista L’altra Europa stampa e tv hanno seguito e ingi­gan­tito le dif­fi­coltà incon­trate nel corso della sua for­ma­zione, per poi calare una cor­tina di silen­zio totale sulla sua esi­stenza e sui suoi suc­cessi. La venuta di Tsi­pras a Palermo, con un tea­tro pieno, la gente in piedi e mille per­sone rima­ste fuori ad ascol­tare, con una visita all’albero di Fal­cone accom­pa­gnato da cen­ti­naia di soste­ni­tori e con l’incontro con il sosti­tuto Di Mat­teo, non ha meri­tato nem­meno un cenno o una riga. Nem­meno la con­se­gna delle 220 mila firme rac­colte per con­sen­tire la par­te­ci­pa­zione della liste alle ele­zioni, un risul­tato su cui molti media ave­vano scom­messo che non sarebbe mai stato rag­giunto, ha avuto la minima men­zione.

L’apertura della cam­pa­gna elet­to­rale al tea­tro Gobetti di Torino con la par­te­ci­pa­zione di Gustavo Zagre­bel­sky e altre cen­ti­naia di soste­ni­tori è anch’essa scom­parsa nel nulla. Quando si accenna di sfug­gita alla lista L’altra Europa, per lo più per deni­grare o sbef­feg­giare i tanti intel­let­tuali di valore che la sosten­gono — ribat­tez­zati “pro­fes­so­roni”; e solo per que­sto se ne parla — il suo pro­gramma viene assi­mi­lato a quello dei no-euro, dei nazio­na­li­sti o addi­rit­tura dei fasci­sti. Per­ché “se non si è con Renzi non si può che essere con­tro l’Europa”.

Il bara­tro in cui è pre­ci­pi­tato il gior­na­li­smo ita­liano si vede dal fatto che molti non rie­scono nem­meno a capire che si possa volere un’Europa diversa da quella che c’è; che è quella di Renzi, come lo era di Letta, di Monti e anche di Ber­lu­sconi e Tre­monti quando erano al governo. Eppure non è man­cato agli stessi gior­nali e tele­gior­nali lo spa­zio per occu­parsi del con­gresso del “nuovo” (il 14°) par­tito comu­ni­sta fon­dato da Rizzo, della pre­sen­ta­zione della lista elet­to­rale Sta­mina, della riam­mis­sione dei Verdi alla com­pe­ti­zione elet­to­rale anche senza aver rac­colto le firme (men­tre chi le ha rac­colte non ha meri­tato nem­meno una riga).

Il tutto viene com­ple­tato con la pre­sen­ta­zione di son­daggi che danno la lista per morta: sono i tre divul­gati dalle tv di regime, men­tre tutti gli altri son­daggi la danno due o tre punti al di sopra della soglia di sbar­ra­mento, ma non ven­gono resi noti. Io, che ho lavo­rato anche in una società di son­daggi, so bene come si fa ad orien­tarli (e anche a fal­si­fi­carli) e quanto con­tri­bui­scano a “orien­tare” e a mani­po­lare la realtà. Gior­nali occu­pati dalla stig­ma­tiz­za­zione della casta non fanno un cenno del fatto che siamo l’unica lista ad affron­tare que­sta cam­pa­gna elet­to­rale senza un euro di finan­zia­menti di stato o di pub­bli­cità. E così via. Poco per volta, e a volte imper­cet­ti­bil­mente, si sci­vola verso un nuovo regime e in que­sta tem­pe­rie per­sino le cri­ti­che all’operato di Renzi ven­gono pro­po­ste come ragioni per un soste­gno dovuto e ine­lut­ta­bile.

Tipico da que­sto punto di vista, per­ché rias­sume una para­bola che coin­volge un po’ tutti i com­men­ta­tori poli­tici che in qual­che modo devono misu­rarsi con numeri e dati che con­trad­di­cono fron­tal­mente le dichia­ra­zioni del lea­der, è l’editoriale (l’omelia set­ti­ma­nale) di Euge­nio Scal­fari com­parso sul numero pasquale di Repub­blica. In sostanza, vi si dice, gli 80 euro di Renzi sono una bufala senza coper­tura finan­zia­ria, che gli ser­virà per stra­vin­cere le ele­zioni euro­pee, anche se è basata un una serie di imbro­gli con­ta­bili che pre­sto ver­ranno alla luce.

Ma — scrive Scal­fari, che pure, in mar­gine a una cri­tica alla riforma del Senato pro­po­sta da Renzi mani­fe­sta, senza sot­to­li­nearla, la con­sa­pe­vo­lezza che la sua riforma elet­to­rale stra­vol­gerà com­ple­ta­mente l’assetto demo­cra­tico del nostro paese — c’è da augu­rarsi comun­que che quell’imbroglio fun­zioni; per­ché così il governo si raf­for­zerà, recu­pe­rerà anche in Europa il pre­sti­gio per­duto e la cre­scita potrà ripar­tire. Il che mostra in che conto Scal­fari tenga “que­sta Europa”: quella a cui stiamo sacri­fi­cando le ormai molte “gene­ra­zioni per­dute” del nostro e di altri paesi, l’esistenza, la salute, la vec­chiaia e la vita stessa di un numero cre­scente di cit­ta­dini, di lavo­ra­tori e di impren­di­tori, e l’intero tes­suto pro­dut­tivo del nostro e paese. E mostra anche che idea abbia — e non solo lui — della cre­scita (il “flo­gi­sto” del nostro tempo, come lo chiama Luciano Gal­lino: tutti ne par­lano e nes­suno sa che cosa sia).

Ma soprat­tutto mostra dove porta que­sta teo­ria, o visione, o per­ce­zione, sem­pre più dif­fusa dai media e tra la gente, del governo Renzi come “ultima spiag­gia”. Così, quando si sarà com­piuto il disa­stro eco­no­mico, sociale e isti­tu­zio­nale a cui ci sta tra­sci­nando quella sua caval­cata fatta di vuote pro­messe, di truc­chi con­ta­bili e di nes­suna capa­cità di pro­get­tare un vero cam­bia­mento di rotta per l’Italia e per l’Europa, non si potrà più tor­nare indie­tro.

È per que­sto che biso­gna fer­marlo qui e ora, a par­tire da un rove­scia­mento dei pro­no­stici — meglio sarebbe chia­marli auspici di regime — tutti a favore delle destre nazio­na­li­ste e raz­zi­ste masche­rate die­tro la cam­pa­gna anti-euro, o delle lar­ghe intese tra Ppe e Pse, con le quali la poli­tica eco­no­mica, fiscale e mone­ta­ria dell’Unione dovrebbe pro­se­guire indi­stur­bata il suo cam­mino di distruzione.


Il Manifesto – 23 aprile 2014

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