Prove tecniche di
autoritarismo mediatico. Renzi, ovvero il berlusconismo dopo
Berlusconi.
Guido Viale
Come i media
preparano un regime
Ci si chiedeva
spesso, decenni fa, nelle scuole e sui media, come fosse stato
possibile che nel 1931, su oltre milleduecento
docenti universitari, solo una quindicina
avesse rifiutato di giurare fedeltà al fascismo;
e come fosse stato possibile che con loro si fossero
allineati migliaia di giornalisti, di
scrittori, di intellettuali — la totalità di
quelli rimasti in funzione — contribuendo
tutti insieme a costruire una solida base di consenso alla
dittatura di Mussolini.
Il contesto
è sicuramente cambiato, ma forse il
servilismo è rimasto invariato. Oggi,
senza nemmeno l’alibi di un’imposizione da parte di un
potere autoritario e incontrollato,
a cui peraltro anche allora molti erano già ben
predisposti, la corsa ad allinearsi con il
potente di turno, magnificandone qualità
e operato, ha assunto da due decenni a questa
parte un andamento a valanga; per poi accorgersi, una
volta usciti temporaneamente
o definitivamente di scena i destinatari
di tanta ammirazione, che i risultati del loro
operare — del loro «fare» in campo economico,
sociale, istituzionale e, soprattutto,
culturale — erano inconsistenti, negativi,
o addirittura drammatici. Ma rimaneva
tuttavia, in alcuni angoli riservati del
giornalismo cartaceo e televisivo,
lo sforzo di un vaglio critico delle misure assunte dai governi
che lasciava uno spiraglio alla legittimazione
di un’opposizione.
Da qualche mese, al
seguito della cavalcata sul nulla di Matteo Renzi — «dà
con una mano per prendere con l’altra» (e molto di più)
è la sintesi del suo operato — il coro delle
ovazioni si è fatto assordante; lo spazio che
gli riservano giornali e tv è totalitario
(come documenta l’osservatorio sulle tv di Pavia); i toni
sono perentori; i rimandi alle sue poliedriche
capacità incontinenti; il servilismo
degli adulatori dilagante (papa Francesco
copia «lo stile di Renzi» ci ha informato un notiziario).
Non c’è più un
regime fascista a imporre questo allineamento;
sono piuttosto questi allineamenti a creare
le solide premesse di un «moderno» autoritarismo.
«Moderno» perché è quello auspicato dall’alta
finanza, che ormai controlla la politica e le nostre
vite; come emerge anche da un documento spesso citato della
Banca J.P.Morgan che si scaglia contro le costituzioni
antifasciste e democratiche che
ostacolerebbero il proficuo
svolgimento degli «affari».
È l’autoritarismo
perseguito dalle «riforme» costituzionali
ed elettorali di Renzi, tese a cancellare
con premio e soglie di sbarramento ogni
possibilità di controbilanciare
i poteri dei partiti — o del partito — al
potere: non solo in Parlamento, ma ovunque;
a partire dai Comuni, non certo aiutati a «fare»,
bensì paralizzati dai tagli ai bilanci e dal patto
di stabilità per costringerli ad abdicare dal
loro ruolo, che è fornire quei servizi pubblici
locali di cui è intessuta l’esistenza quotidiana
dei cittadini. Renzi, come Letta, Monti e Berlusconi,
vuole costringerli ad alienarli: come aveva fatto
Mussolini sostituendo ai consigli comunali
i suoi prefetti.
Una riprova non
marginale di questo clima è il modo in cui
stampa e media seguono la campagna elettorale
europea, confinandola interamente in
un confronto Renzi-Grillo (con Berlusconi ormai ai
margini) privo di contenuti programmatici
e tutto incentrato sulle diverse forme di «carisma»
che i due leader esibiscono.
In questo
contesto il silenzio calato sulla lista L’altra
Europa con Tsipras, l’unica che si presenta con un
programma per cambiare radicalmente l’Europa
(che è l’argomento di cui è proibito parlare)
e non per abbandonarla insieme all’euro, né per
continuare sulla rotta di quell’austerity difesa
e votata fino a ieri come passaggio obbligato
per tornare alla “crescita”.
Della lista L’altra
Europa stampa e tv hanno seguito e ingigantito
le difficoltà incontrate nel corso della sua
formazione, per poi calare una cortina di silenzio
totale sulla sua esistenza e sui suoi successi. La
venuta di Tsipras a Palermo, con un teatro pieno, la
gente in piedi e mille persone rimaste fuori ad
ascoltare, con una visita all’albero di Falcone
accompagnato da centinaia di sostenitori
e con l’incontro con il sostituto Di Matteo, non ha
meritato nemmeno un cenno o una riga. Nemmeno la
consegna delle 220 mila firme raccolte per
consentire la partecipazione della
liste alle elezioni, un risultato su cui molti media
avevano scommesso che non sarebbe mai stato raggiunto,
ha avuto la minima menzione.
L’apertura della
campagna elettorale al teatro Gobetti di
Torino con la partecipazione di Gustavo
Zagrebelsky e altre centinaia di
sostenitori è anch’essa scomparsa nel nulla.
Quando si accenna di sfuggita alla lista L’altra Europa, per
lo più per denigrare o sbeffeggiare i tanti
intellettuali di valore che la sostengono —
ribattezzati “professoroni”; e solo
per questo se ne parla — il suo programma viene
assimilato a quello dei no-euro, dei nazionalisti
o addirittura dei fascisti. Perché “se
non si è con Renzi non si può che essere contro
l’Europa”.
Il baratro in cui
è precipitato il giornalismo
italiano si vede dal fatto che molti non riescono nemmeno
a capire che si possa volere un’Europa diversa da quella che
c’è; che è quella di Renzi, come lo era di Letta, di Monti
e anche di Berlusconi e Tremonti quando
erano al governo. Eppure non è mancato agli stessi
giornali e telegiornali lo spazio per
occuparsi del congresso del “nuovo” (il 14°) partito
comunista fondato da Rizzo, della presentazione
della lista elettorale Stamina, della riammissione
dei Verdi alla competizione elettorale
anche senza aver raccolto le firme (mentre chi le ha
raccolte non ha meritato nemmeno una riga).
Il tutto viene
completato con la presentazione di
sondaggi che danno la lista per morta: sono i tre
divulgati dalle tv di regime, mentre tutti gli altri
sondaggi la danno due o tre punti al di sopra della soglia
di sbarramento, ma non vengono resi noti. Io, che ho
lavorato anche in una società di sondaggi, so bene come
si fa ad orientarli (e anche a falsificarli)
e quanto contribuiscano a “orientare”
e a manipolare la realtà. Giornali occupati
dalla stigmatizzazione della casta non fanno un
cenno del fatto che siamo l’unica lista ad affrontare questa
campagna elettorale senza un euro di
finanziamenti di stato o di pubblicità.
E così via. Poco per volta, e a volte
impercettibilmente, si scivola verso un
nuovo regime e in questa temperie persino
le critiche all’operato di Renzi vengono proposte
come ragioni per un sostegno dovuto e ineluttabile.
Tipico da questo punto di vista, perché riassume una parabola che coinvolge un po’ tutti i commentatori politici che in qualche modo devono misurarsi con numeri e dati che contraddicono frontalmente le dichiarazioni del leader, è l’editoriale (l’omelia settimanale) di Eugenio Scalfari comparso sul numero pasquale di Repubblica. In sostanza, vi si dice, gli 80 euro di Renzi sono una bufala senza copertura finanziaria, che gli servirà per stravincere le elezioni europee, anche se è basata un una serie di imbrogli contabili che presto verranno alla luce.
Ma — scrive Scalfari,
che pure, in margine a una critica alla riforma del
Senato proposta da Renzi manifesta, senza
sottolinearla, la consapevolezza
che la sua riforma elettorale stravolgerà
completamente l’assetto democratico del
nostro paese — c’è da augurarsi comunque che
quell’imbroglio funzioni; perché così il governo si
rafforzerà, recupererà anche in Europa il
prestigio perduto e la crescita potrà
ripartire. Il che mostra in che conto Scalfari tenga
“questa Europa”: quella a cui stiamo sacrificando
le ormai molte “generazioni perdute” del nostro
e di altri paesi, l’esistenza, la salute, la vecchiaia
e la vita stessa di un numero crescente di cittadini,
di lavoratori e di imprenditori, e l’intero
tessuto produttivo del nostro e paese. E mostra
anche che idea abbia — e non solo lui — della crescita
(il “flogisto” del nostro tempo, come lo chiama
Luciano Gallino: tutti ne parlano e nessuno sa
che cosa sia).
Ma soprattutto
mostra dove porta questa teoria, o visione,
o percezione, sempre più diffusa dai media
e tra la gente, del governo Renzi come “ultima spiaggia”.
Così, quando si sarà compiuto il disastro economico,
sociale e istituzionale a cui ci sta
trascinando quella sua cavalcata fatta di vuote
promesse, di trucchi contabili e di
nessuna capacità di progettare un vero
cambiamento di rotta per l’Italia e per l’Europa,
non si potrà più tornare indietro.
È per questo
che bisogna fermarlo qui e ora, a partire
da un rovesciamento dei pronostici — meglio
sarebbe chiamarli auspici di regime — tutti a favore
delle destre nazionaliste e razziste
mascherate dietro la campagna anti-euro, o delle
larghe intese tra Ppe e Pse, con le quali la politica
economica, fiscale e monetaria dell’Unione
dovrebbe proseguire indisturbata il suo cammino
di distruzione.
Il Manifesto – 23
aprile 2014
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