Vittorio Rieser. La
scomparsa di un intellettuale militante mai settario. E con il
dissacrante gusto dell’ironia. La scoperta della fabbrica a Torino,
l’esperienza nei «Quaderni Rossi», l’impegno nel sindacato
Enrico Pugliese
Il grande vecchio
dell'inchiesta operaia
Da tempo Vittorio
Rieser non stava bene di salute. Ma la notizia della sua
morte per colpa di un edema polmonare la scorsa notte ha
sorpreso e addolorato i molti compagni
che lo conoscevano e amavano. Negli ultimi mesi
aveva scelto di stare appartato ma nessuno di noi pensava
che avrebbe potuto lasciarci così presto. Vittorio
era nato a Torino nel 1939. In una lunga intervista
del 2001 nello spiegare il suo coinvolgimento
precoce nella politica affermava: «i miei genitori
erano antifascisti, tutti e due hanno avuto
periodi più o meno lunghi di militanza comunista.
Mia madre è stata in carcere un anno condannata
dal tribunale speciale; mio padre era un ebreo polacco
comunista che ha fatto per alcuni anni il
rivoluzionario di professione».
Il primo
coinvolgimento nell’attività politica è a
metà degli anni Cinquanta quando tenta di organizzare
gruppi di studenti sulla questione operaia prendendo
contatti con il sindacato dei meccanici,
cioè la Fiom. Gli anni di liceo son anche gli anni del sodalizio
con Giovanni Mottura e altri compagni con
i quali partecipa alla indagine sulla
discriminazione politica negli stabilimenti
della Fiat diretta da Giovanni Carocci, il cui rapporto
costituì un numero monografico della rivista Nuovi
Argomenti uscito nel 1958.
Questa esperienza
risulterà fondante per quei giovani che daranno vita,
sotto la guida di Raniero Panzieri, ai Quaderni
Rossi. Negli stessi anni e con alcuni di quei compagni
si recherà in Sicilia per partecipare alle
mobilitazioni per il lavoro e contro la
mafia organizzate da Danilo Dolci.
È nei Quaderni
Rossi che Vittorio dà un contributo
particolarmente originale e comincia
a impegnarsi con sempre maggiore
consapevolezza nel lavoro di inchiesta che
proseguirà per tutta la sua vita. In un convegno
di studi al Cnr in occasione dei settant’anni di Giovanni
Mottura, ricorderà l’esperienza siciliana ma
soprattutto chiarirà il significato del lavoro
di inchiesta. Egli scrive: «Ho qualche obiezione
sull’uso del termine “inchiesta operaia” che
è restrittivo (se assunto letteralmente)
o ideologico (se ipostatizza il “ruolo
universale della classe operaia” o – peggio —
di una sua componente tipo l’operaio massa)».
L’inchiesta non è uno
dei possibili metodi di analisi sociologica.
La sua caratteristica principale consiste
nel particolare modo di porsi nei confronti del
tema della ricerca e dei soggetti sociali che ne sono
coinvolti. Essi non rappresentano «l’oggetto
di ricerca», ma gli uomini e le donne, i lavoratori,
gli operai dei quali si vuole conoscere gli orientamenti,
le convinzioni e i bisogni per produrre
insieme a loro rivendicazioni sindacali,
politiche e sociali. Questo metodo sarà seguito
da Vittorio nel corso di tutta la sua esistenza nei
diversi ambiti politici e istituzionali nei
quali si troverà a lavorare. Cercherà di
introdurlo allo scopo di evitare semplificazioni
e astrattezze nei gruppi della sinistra
extraparlamentare alla quale aderisce:
da Collettivo Lenin, poi confluito in Avanguardia
Operaia, a Democrazia Proletaria,
fino al Partito della Rifondazione Comunista
al quale aderirà per un alcuni anni. Ma questa sua
capacità di legare lavoro politico a ricerca lo
caratterizzerà anche negli anni di insegnamento
di sociologia industriale all’Università di Modena:
lavoro dal quale chiederà il distacco sindacale, caso
forse unico al mondo per lavorare presso un istituto di
ricerca del sindacato.
Ma la capacità di
Vittorio di studiare l’organizzazione e la
condizione operaia si esprimeva anche attraverso
la conoscenza dei metodi e dei contenuti
dell’indagine di sociologia industriale e del
lavoro, come nel caso della grande inchiesta sui lavoratori
condotta dalla Commissione Lavoro dell’allora
Partito Comunista. Alcuni risultati di quel
lavoro sono nel libretto dal peculiare titolo Lo strano
caso del professor Weber e del dottor
Marx. E questo titolo è una delle infinite
trovate ironiche e paradossali con le
quali Vittorio leggeva con ironia la realtà
e prendeva le distanze dai punti di vista convenzionali
ma anche un po’ dalle situazioni, per non parlare delle
organizzazioni, nelle quali veniva a trovarsi.
Di ogni situazione egli riusciva a dare una lettura
surreale che comprendeva sempre una critica
politica.
E questo rendeva
affascinante lo stare con lui e sentire i suoi
commenti scanzonati che non di rado tuttavia
lasciavano trasparire una certa amarezza. Ma le
sue battute, le sue dissacranti definizioni,
sono diventate celebri. E questo non può certo
meravigliare, perché Vittorio era dotato di
una incredibile capacità creativa. Poteva
passare con estrema facilità dall’italiano all’inglese
al francese, al tedesco. Ma poteva suonare il
pianoforte e discutere con estrema competenza
di musica lasciando incantati gli interlocutori.
Aveva un infinito repertorio di barzellette
ebraiche, conosceva l’economia meglio dei normali
economisti e la sociologia come
i migliori sociologi. D’altra parte nella intervista
del 2001 aveva affermato che si era spostato dagli studi di
storia laureandosi poi in sociologia perché
questo gli avrebbe permesso di conoscere meglio la
fabbrica, la produzione e il lavoro e di
fare inchiesta. Tutte le sue scelte di vita sono state dettate
dall’impegno politico. Insomma Vittorio è stato
un grande compagno.
Sabato dalle 9,30 alle 11.30 ci sarà
un saluto alla Cgil di Torino in via Pedretti.
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