14 maggio 2014

CRIMINALITA' E POLITICA OGGI





Un articolo di Paolo Favilli, professore presso l'Università di Genova, apparso il 25 aprile su il Manifesto (e dunque prima dello scandalo Expo e dell'arresto di Scajola) evidenzia l'intreccio ai vertici stesso dello Stato di criminalità e politica e di come il nostro Paese sia stato negli ultimi decenni ostaggio di logiche malavitose.

Paolo Favilli

La mostruosa normalità di un sistema

L'uso senza limiti del lin­guag­gio iper­bo­lico in un dibat­tito poli­tico quasi sem­pre privo di spes­sore ana­li­tico ci sta pri­vando della pos­si­bi­lità di orien­tarci. Se la poli­tica finan­zia­ria con­nessa all’attuale gestione dell’euro diventa «Ausch­witz». Se ogni appro­va­zione di leggi da parte della mag­gio­ranza (spesso dav­vero ingiu­ste e intrise di con­flitti d’interessi) diventa «colpo di stato». Se la reale ten­denza al pro­gres­sivo con­cen­trarsi del potere in ristrette oli­gar­chie diventa «ritorno al fasci­smo», ebbene la spe­ci­fi­cità e il peso di ogni feno­meno scom­pa­iono ed orien­tarsi in «una notte in cui tutte la vac­che sono nere» è impresa assai dif­fi­cile.

In un arti­colo apparso su que­sto gior­nale qual­che giorno fa (15 aprile, Berlusconi-Napolitano «gli esiti cri­mi­nali della poli­tica sepa­rata») ho usato anch’io tinte molto forti. Si tratta, però, e credo che que­sta affer­ma­zione possa reg­gere l’onere della prova, di un lin­guag­gio con alto grado di mimesi nei con­fronti della realtà. Il pro­blema è che il feno­meno al cen­tro di quello scritto, se ana­liz­zato dav­vero, è in grado di pro­durre disve­la­menti, tanto sull’oggi che su un iti­ne­ra­rio sto­rico ven­ten­nale, che i faci­tori di opi­nione sem­brano impos­si­bi­li­tati a sop­por­tare. Meglio la rimozione.

Luigi Pin­tor diceva che dopo mez­zo­giorno con il quo­ti­diano si pote­vano incar­tare le patate. Visto con quanta faci­lità si dimen­tica, mi si scu­serà se fac­cio rife­ri­mento all’articolo citato.
I dati di fatto non sono con­tro­ver­ti­bili. Dall’insieme delle sen­tenze rela­tive a Ber­lu­sconi, Pre­viti, Dell’Utri (su quest’ultimo si attende ancora quella defi­ni­tiva della Cas­sa­zione che, come ricor­diamo, non è giu­dice di merito) emerge un qua­dro cri­mi­nale impres­sio­nante. Il cen­tro del qua­dro è rap­pre­sen­tato da un enorme e rami­fi­cato sistema cor­rut­tivo espanso in tutte le pos­si­bili varianti. Il sistema cor­rut­tivo è neces­sità fun­zio­nale come uscita di sicu­rezza per una mol­te­pli­cità di com­por­ta­menti delin­quen­ziali. La poli­tica è una delle varianti più impor­tanti tanto come uscita di sicu­rezza che come luogo pri­vi­le­giato del cir­cuito potere-denaro.

La triade sud­detta è stata il ful­cro, il sog­getto agente della costru­zione di un sog­getto poli­tico che per lun­ghi anni ha eser­ci­tato il potere ad ogni livello della vita pub­blica. Ancora oggi il sog­getto creato vent’anni fa è tutt’altro che mar­gi­nale e le sue pro­spet­tive non sono neces­sa­ria­mente per­denti. Natu­ral­mente sarebbe una scioc­chezza pen­sare che il suc­cesso di quella forza poli­tica sia deri­vato da una logica cri­mi­nale, ma quella logica, tenuto conto del ruolo cen­trale della triade, ha infor­mato di sé aspetti impor­tan­tis­simi delle pra­ti­che di governo. Inol­tre è stato punto di rife­ri­mento legit­ti­mante di ana­lo­ghe pra­ti­che locali: il para­digma Cosen­tino si com­prende meglio nell’ambito di tale insieme strutturale.

Per la prima volta nella sto­ria dell’Italia repub­bli­cana i gan­gli fon­da­men­tali della vita poli­tica si tro­vano ad essere intrin­se­ca­mente legati a una ope­ra­zione cri­mi­nale.

Di fronte a tutto ciò ci tro­viamo a vivere in una situa­zione di «nor­ma­lità mostruosa», come potremmo defi­nirla con un ossi­moro. Mostruosa: sia come feno­meno straor­di­na­rio, che suscita stu­pore, sia come feno­meno orri­bile. Nor­ma­lità: in quanto lo svol­gi­mento della vita poli­tica non è asso­lu­ta­mente toc­cato dalla mostruo­sità.

Si pensi solo alla leg­ge­rezza con cui auto­re­voli edi­to­ria­li­sti di auto­re­voli quo­ti­diani hanno trat­tato que­sto enorme peso che grava su tutta la nostra vita etico-civile. Com­men­tando la sen­tenza che ha fis­sato la pena (si fa per dire) rie­du­ca­tiva per il delin­quente, ci viene data l’immagine di un uomo «dolo­rante die­tro l’eterno sor­riso (…) un uomo che merita rispetto», un uomo i cui errori sono quelli di non aver fatto le riforme pro­messe, un uomo che però ha defi­ni­ti­va­mente supe­rato una «guerra giu­di­zia­ria» finita da tempo (Mas­simo Franco, Cor­riere della sera, 16 aprile). E anche dal fronte per­vi­ca­ce­mente anti­ber­lu­sco­niano (la Repub­blica), dopo aver messo giu­sta­mente in rilievo lo «sta­tus par­ti­co­lare» che spiega l’agibilità poli­tica con­cessa al delin­quente, non si fa una piega di fronte alla «neces­sità» di farne un padre della patria, visto che Renzi avrebbe avuto una via «quasi obbli­gata» (Mas­simo Gian­nini, 16 aprile).

L’espressione «non ci sono alter­na­tive», non casual­mente una delle pre­fe­rite da Mar­ga­ret That­cher per giu­sti­fi­care la duris­sima repres­sione sociale, è, in genere, causa delle mag­giori nefan­dezze. Nel nostro caso non si tratta di «neces­sità» bensì di una con­cla­mata «sin­to­nia» per una pro­spet­tiva di bipar­ti­ti­smo for­zoso su cui Renzi e Ber­lu­sconi gio­cano il futuro delle loro for­tune poli­ti­che.



Ma la que­stione cen­trale su cui gli auto­re­voli opi­nio­ni­sti svo­laz­zano entrambi, l’uno auspi­cando il supe­ra­mento defi­ni­tivo di «una guerra finita da tempo», l’altro facendo appello allo stato di neces­sità, è la com­pa­ti­bi­lità del qua­dro che esce dalle sen­tenze Ber­lu­sconi, Dell’Utri, Pre­viti, con qual­siasi ruolo di rile­vanza poli­tica, figu­ria­moci con quello di «padre della patria». In realtà, su que­sto, la guerra non c’è mai stata.

Il dilemma, in fondo, è piut­to­sto sem­plice: le sen­tenze dicono il vero o sono il frutto della fal­si­fi­ca­zione di una magi­stra­tura poli­ti­ciz­zata? La seconda ipo­tesi è soste­nuta, con forza, non solo dai con­dan­nati, ma da aree poli­ti­che e d’opinione rela­ti­va­mente ampie. Gli auto­re­voli devono dirci se la con­di­vi­dono o meno. Penso di sì, per­ché è l’unica ipo­tesi in per­fetta coe­renza con i loro svo­laz­za­menti. Diranno che Ber­lu­sconi ha i voti e il loro è sem­pli­ce­mente rea­li­smo poli­tico. Non di rea­li­smo si tratta, invece, ma dell’accettazione, della con­di­vi­sione di quello stato di necrosi che carat­te­rizza il tes­suto con­net­tivo civile in Italia.

Ovvia­mente è del tutto inu­tile chie­dere ai molti «auto­re­voli» di uscire dal recinto in cui stanno comodi e pro­tetti, ma forse non è inu­tile chie­dere a chi sta fuori il recinto, in vari e arti­co­lati modi, di assu­mere il qua­dro che emerge dalle sen­tenze come uno dei pro­blemi essen­ziali delle ini­zia­tive poli­ti­che in corso.

Il ber­lu­sco­ni­smo non è il fasci­smo, certo, ma il solo modo di uscirne dav­vero è quello della cesura netta, sia pure in forme diverse, con la quale l’Italia è uscita dal fasci­smo. Sap­piamo bene che nem­meno le cesure sono in grado di tagliare dav­vero la vischio­sità pro­fonda dei pro­cessi sto­rici, pur tut­ta­via sono i soli momenti che pos­sono segnare una, sep­pur par­ziale, discon­ti­nuità radicale.

I com­pa­gni, i pro­fes­so­roni, i pro­fes­sori qual­siasi (come chi scrive), devono pren­dere coscienza che anche que­sta via d’uscita dal ber­lu­sco­ni­smo, e da tutti gli affi­ni­smi col ber­lu­sco­ni­smo, è una «via mae­stra». La bat­ta­glia dif­fi­cile per l’affermazione della lista L’altra Europa con Tsi­pras non può igno­rare il pro­blema.

L’Italia deve pre­sen­tarsi in Europa anche con una forza che rap­pre­senti dav­vero l’antitesi a un volto del paese sfi­gu­rato dal morbo criminal-politico. Frutto di quella «pas­sata di peste» che Paolo Vol­poni, pro­fe­ti­ca­mente, aveva visto soprag­giun­gere più di vent’anni fa.


Il Manifesto – 25 aprile 2014

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