05 maggio 2014

CINA, EUROPA E ITALIA




Valerio Castronovo

Celeste impero
Il filo che lega Europa e Cina


Che la Cina sia oggi una delle protagoniste della globalizzazione è un dato di fatto. Ma non si tratta di un fenomeno spuntato solo negli ultimi trent'anni. C'è già stata un'epoca, in età moderna, segnata da una pluralità di connessioni fra l'Europa e la Cina nel quadro di un'incipiente economia-mondo. In questo sistema di interdipendenze il Celeste Impero era un attore importante. Sia perché forniva all'Europa varie materie prime e prodotti di particolare pregio; sia perché vantava una civiltà millenaria all'avanguardia in diversi campi del sapere: tanto che, sin quasi alla prima metà del diciannovesimo secolo, la Cina continuò a detenere una posizione di rilievo in fatto di cognizioni scientifiche e di singolari espressioni culturali.

Se queste sue specifiche risorse e attitudini, ampiamente riconosciute in Occidente, finirono successivamente per essere ignorate o sottovalutate, fu perché prevalsero fra Otto e Novecento pregiudizi e stereotipi d'impronta eurocentrica tendenti, sulla scia dell'idea di progresso dettata dal positivismo, a calcare la mano su determinati retaggi della Cina imperiale, considerati retrogadi e misoneistici. Al punto di cancellare, in base a questo parametro, quasi ogni traccia del ruolo significativo svolto in passato dalla Cina.

In pratica, soltanto dal secondo dopoguerra è andata maturando una revisione di certi vecchi schemi e si sono inforcate delle lenti appropriate per analizzare la storia del Paese. A questo riguardo il saggio di Paolo Santangelo sulla Cina durante le dinastie Ming e Qing è un testo esemplare per ampiezza di orizzonti ed equilibrio di giudizio. Perché esamina in modo dettagliato le forme e le gerarchie di potere, l'apparato burocratico e le sue prerogative, le diverse stratificazioni sociali e le loro caratteristiche peculiari, le configurazioni del sistema agricolo e del mondo contadino, la trama delle relazioni commerciali e la cerchia dei grandi mercanti che vi sovrintendevano, le varie corporazioni dell'artigianato e dell'industria manifatturiera sia quella comune sia quella sotto l'egida dinastica, l'organizzazione militare e i suoi componenti, le tradizioni religiose e monastiche. Né manca un'analisi tanto delle istituzioni familiari, delle condizioni della donna, dei clan e delle loro funzioni, come pure delle comunità di villaggio e di quelle urbane con le loro gilde e confraternite.

Da questo profilo d'insieme si evince che la società cinese fra il Trecento e l'Otttocento non fu affatto statica, caratterizzata dalla ripetizione di situazioni e direttrici sostanzialmente sempre uguali a se stesse, come la storiografia ufficiale cinese di quell'epoca era portata d'altronde a raffigurare in base alla dottrina del cosiddetto «Mandato Celeste», secondo cui ciò corrispondeva a un ordine naturale e razionale delle cose. Se questa concezione privilegiava l'elemento della "continuità" (tanto apprezzata a suo tempo dai missionari gesuiti), antitetica perciò a quella occidentale imperniata nell'assunto di una costante evoluzione, e se la tradizione confuciana si fondava sull'ideale di una "società armoniosa", congeniale a un sistema di potere autocratico e uniformante (non a caso rispolverata nella Cina comunista), non mancarono tuttavia nel corso della storia cinese sia rilevanti trasformazioni sociali ed economiche sia vari cambiamenti nell'assetto istituzionale.



Tuttavia, la Cina non conobbe mai qualcosa di paragonabile alla dialettica vigente in Europa fra lo Stato e la Chiesa, fra i rappresentanti di un ordinamento secolare e di un altro ultramondano. Lo stesso si può dire a proposito di credenze religiose e di teorie filosofiche, di principi valoriali e modi di pensare. Concetti come quelli di "ragione" e "passione", o "spirito" e "materia", erano interpretati e declinati in modo del tutto specifico alla cultura cinese. E così pure lo erano le norme riguardanti la responsabilità e la persona umana o i costumi e la vita privata. Perciò, in quanto lontani dalla mentalità e dai modelli di comportamento degli occidentali approdati via via dalle parti del Celeste Impero, queste categorie rimasero per lungo tempo inalterate senza alcun genere di ibridazione.

A dar conto in modo pregnante di quanto sia stato complesso l'intreccio di rapporti fra l'Europa e la Cina risulta pur sempre illuminante anche un'opera come quella di Giuliano Bertuccioli e di Federico Masini, uscita nel 1996 e ora ripresentata in una versione aggiornata, sulle relazioni culturali fra l'impero cinese e i due imperi, quello romano prima e quello cristiano poi, che hanno dominato lo scenario italiano dall'antichità sin quasi al principio del Novecento.

Attraverso questa trattazione, divisa in due parti (una che abbraccia il periodo delle origini sino a tutto il secolo XVIII, scritta da Bertuccioli, già diplomatico in Asia orientale e poi ordinario di lingua e letteratura cinese all'Università di Roma; l'altra, che ripercorre l'800 e il primo decennio del '900, stesa da Masini), è dato comprendere i motivi salienti della scarsa comprensione e, per contro, della notevole incomprensione che caratterizzarono più in generale anche i rapporti fra l'Europa e la Cina. Tanto che si potrebbe dire che, mentre i cinesi dell'Ottocento, tronfi della loro cultura, a malapena riuscivano a immaginare l'esistenza di altre realtà culturali in grado di competere con la loro, così è avvenuto all'inverso per gli europei nei confronti della Cina sino a qualche decennio fa.

Il Sole 24 Ore – 4 maggio 2014


Paolo Santangelo
L'impero del Mandato Celeste. La Cina nei secoli XIV-XIX.
Laterza, 2014
 € 24,00

Giuliano Bertuccioli-Federico Masini
Italia e Cina
Edizioni l'Asino d'oro, 2014
18,00

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