09 maggio 2014

COME PRIMA, PIU' DI PRIMA..



Sull' ultimo scandalo nazionale dell' Expo milanese mettiamo a confronto l'articolo di un grande giornalista del Corsera con l'intervista all'ex pubblico ministero del pool di Mani pulite pubblicata da il manifesto


Gian Antonio Stella

Come prima, più di prima...



Per piacere: evitateci lo stupore scandalizzato, «chi se lo immaginava?», «non l’avrei mai detto…». Tutto sono, gli arresti di ieri per l’Expo 2015, tranne che una clamorosa sorpresa. Perché, ferma restando l’innocenza di tutti fino alle sentenze, le cose stavano procedendo esattamente come era andata troppe altre volte.  Il solito copione. Recitato per i Mondiali di nuoto, le Universiadi, la World Cup di calcio, l’Anno Santo... Anni perduti nei preliminari, discussioni infinite sui progetti, liti e ripicche sulla gestione e poi, di colpo, l’allarme: oddio, non ce la faremo mai! Ed ecco l’affannosa accelerazione, le deroghe, il commissariamento, le scorciatoie per aggirare lacci e lacciuoli, le commesse strapagate, i costosissimi cantieri notturni non stop. 


Sono sei anni, dal 31 marzo 2008, che sappiamo di dovere organizzare l’Expo 2015. E anni che sappiamo, dopo i trionfi di Shanghai 2010 dove il nostro padiglione fece un figurone, che l’impresa è difficile se non temeraria. Eppure solo Napolitano, all’ultimo istante, si precipitò alla grandiosa esposizione cinese per ricevere il passaggio del testimone e mettere una toppa sulle vistose assenze del nostro governo. Dopo di allora, tanti proclami, annunci, rassicurazioni… Mentre cresceva, nonostante l’impegno generoso di tanti, la paura di non farcela.

È una maledizione, la fretta. E ci caschiamo sempre. O forse è peggio ancora: c’è anche chi scommette sui ritardi e sulla accelerazione febbrile col cuore in gola. Quando il rischio che salti tutto fa saltare le regole che erano state fissate e i prezzi schizzano sempre più su, più su, più su. Proprio come previde nel 2010 la presidente degli architetti milanesi denunciando «perplessità in merito al rispetto delle scadenze per il completamento dei lavori, alla trasparenza delle procedure e alle modalità che saranno utilizzate per affidare gli appalti». Già la prima di quelle gare, del resto, fu un’avvisaglia: vinse un’impresa con un ribasso enorme da 90 a 58 milioni ma l’anno dopo già batteva cassa per averne 88. Per non dire delle infiltrazioni nei subappalti di imprese in odore di mafia: il capo della polizia Pansa, mesi fa, comunicò che 23 aziende erano state escluse. Lo stesso sindaco Pisapia, però, spiegò d’essere sulle spine: troppi, sei mesi di analisi burocratiche, per verificare la serietà di una ditta. Tanto più se la fretta si fa angosciosa.

L’unica sorpresa, nella retata di ieri che segue il fermo un mese fa del direttore generale di Infrastrutture Lombarde Giulio Rognoni, sono i nomi di alcuni degli arrestati. Già tirati in ballo vent’anni fa, nella stagione di Mani pulite, come se non fosse cambiato niente. Dal costruttore Enrico Maltauro all’ex pci Primo Greganti fino all’ex dicì Gianstefano Frigerio, poi candidato da Forza Italia (lifting anagrafico…) col nome d’arte di Carlo. Ma come, direte: ancora? Ancora, accusano i magistrati. E parlano d’«una cupola» che «condizionava gli appalti» in favore di «imprese riconducibili a tutti i partiti». Cosa significa «tutti»? Mancano solo un paio di settimane alle elezioni europee. E un anno all’apertura dell’Expo: i dubbi su quello che è oggi il più grande investimento nazionale e rischia di trasformarsi da vetrina della speranza e del rilancio in una vetrina infangata devono essere spazzati via in fretta. 

Corriere della sera9 Maggio, 2014
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Gherardo Colombo
 «Corruzione dilagante, la via giudiziaria non serve» 
 
Corruzione Expo. Intervista di Carlo Lania all'ex pubblico ministero del pool di Mani pulite.

«La cor­ru­zione in Ita­lia è così dif­fusa che è pra­ti­ca­mente impos­si­bile cer­care di porvi rime­dio per via giu­di­zia­ria». E’ una con­sta­ta­zione amara quella che Ghe­rardo Colombo si trova a dover fare in un pome­rig­gio in cui il tempo sem­bra aver fatto un balzo all’indietro fino al 1992, anno in cui Tan­gen­to­poli ebbe ini­zio e lui, insieme al pool di Milano diede avvio a Mani pulite. 22 anni che sem­brano pas­sati invano. «Se oggi la situa­zione è ana­loga a quella di allora, mi sem­bra chiaro che la fun­zione di pre­ven­zione che dovreb­bero avere le inda­gini e i pro­cessi non sia stata svolta» com­menta Colombo che, smessa la toga da magi­strato, oggi è nel cda della Rai.

Dot­tor Colombo ecco di nuovo i nomi di Primo Gre­ganti e Gian­ste­fano Fri­ge­rio. Allora è pro­prio vero che a volte tornano?
Lasciamo che si con­clu­dano le inda­gini e i pro­cessi, per­ché esi­ste sem­pre la pre­sun­zione di inno­cenza. Dopo di che, però, pos­siamo fare un rifles­sione che pre­scinde dalle per­sone e chie­derci se quella di oggi è una situa­zione ana­loga a quella di allora o se ci sono delle diversità.

E lei che rispo­sta si dà?
Posso dirle con cer­tezza che allora esi­steva un sistema della cor­ru­zione e che oggi non mi sem­bra che le cose siano cam­biate poi così tanto. Il sistema è soprav­vis­suto, anche se forse è una cosa diversa: forse c’è meno finan­zia­mento ille­cito ai par­titi e una desti­na­zione dei pro­venti della cor­ru­zione più verso se stessi, anche se magari con delle ecce­zioni. Se però riflet­tiamo sulla quan­tità di que­sto feno­meno e sulla sua dif­fu­sione, credo che in que­sto paese la cor­ru­zione oggi sia dif­fusa ancora molto, molto e poi ancora molto. Abbiamo una serie di indizi per poterlo dire, come le ana­lisi della Corte dei conti e gli appro­fon­di­menti di Trans­pa­rency inter­na­tio­nalche ogni anno ela­bora l’indice della cor­ru­zione per­ce­pita. E poi abbiamo una serie di emer­genze segna­late dai media.

Stando alle noti­zie, una cosa che sem­bra essere cam­biata è la con­si­stenza delle tan­genti. Dal 5–10% dei tempi di Tan­gen­to­poli all’attuale 0,8%. E’ anche que­sta una con­se­guenza della crisi o cosa?
Allora le tan­genti erano molto più arti­co­late. Ricordo quelle pagate per la costru­zione della metro­po­li­tana: il movi­mento terra valeva il 3%, men­tre invece atti­vità che richie­de­vano mag­giori com­pe­tenze arri­va­vano fino al 13%. Sullo 0,8% di oggi pro­ba­bil­mente incide il fatto che girano meno soldi.

Per­ché in tutti que­sti anni l’azione di risa­na­mento non è riu­scita? E’ un pro­blema di leggi insufficienti?
No, secondo me è un pro­blema di cul­tura. Se si trat­tasse sol­tanto di leggi, quelle che puni­scono la cor­ru­zione ci sono. Non sono per­fette, ci man­cano una sacco di cose ma ci sono. Credo invece che sia pro­prio un pro­blema di cul­tura, di modo di pen­sare. La cor­ru­zione in Ita­lia è così dif­fusa che è pra­ti­ca­mente impos­si­bile cer­care di porvi rime­dio per via giu­di­zia­ria, occorre inter­ve­nire attra­verso sti­moli edu­ca­tivi. Leggi più severe non ser­vono. Vede le leggi c’è il pre­cetto, che dice cosa è vie­tato, distin­gue quello che è lecito da quello che è ille­cito. Ora que­sta parte cer­ta­mente è uti­lis­sima, però non serve a mio parere per­ché com­porta gene­ral­mente solo il car­cere, che invece di aiu­tare a mar­gi­na­liz­zare la devianza alla fine la faci­lita. Se noi usiamo la san­zione per ren­dere vero il pre­cetto, va a finire che ci mor­diamo la coda.

Quindi è tutto inutile?
Non è tutto inu­tile, l’intervento penale è insuf­fi­ciente. Dovrebbe ten­dere dav­vero, come dice la Costi­tu­zione alla rie­du­ca­zione del con­dan­nato usando stru­menti che siano in coe­renza con il senso di umanità.

Viste le inda­gini di que­sti ultimi 22 anni, Mani pulite è stata inutile?
Se oggi la situa­zione è ana­loga a quella di allora, se la fun­zione delle inda­gini e dei pro­cessi è quella tra l’altro di ope­rare come pre­ven­zione gene­rale, beh mi sem­bra che que­sta ope­ra­zione di pre­ven­zione non sia stata svolta. Guardi, io sono entrato in Mani pulite nell’aprile del 1992, nel luglio in un’intervista all’Espresso but­tai lì l’idea che chi avesse rico­struito i fatti, resti­tuito quello che aveva incas­sato ille­git­ti­ma­mente e si fosse allon­ta­nato per qual­che anno dalla vita pub­blica non sarebbe andato in pri­gione. Si capiva già che attra­verso lo stru­mento penale non si sarebbe riu­sciti a con­clu­dere niente.
  
Il manifesto, 9 maggio 2014

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