Sull' ultimo scandalo nazionale dell' Expo milanese mettiamo a confronto l'articolo di un grande giornalista del Corsera con l'intervista all'ex pubblico ministero del pool di Mani pulite pubblicata da il manifesto
Gian Antonio Stella
Come prima, più di prima...
Per piacere: evitateci lo stupore scandalizzato, «chi se lo
immaginava?», «non l’avrei mai detto…». Tutto sono, gli arresti di ieri
per l’Expo 2015, tranne che una clamorosa sorpresa. Perché, ferma
restando l’innocenza di tutti fino alle sentenze, le cose stavano
procedendo esattamente come era andata troppe altre volte. Il solito
copione. Recitato per i Mondiali di nuoto, le Universiadi, la World Cup
di calcio, l’Anno Santo... Anni perduti nei preliminari, discussioni
infinite sui progetti, liti e ripicche sulla gestione e poi, di colpo,
l’allarme: oddio, non ce la faremo mai! Ed ecco l’affannosa
accelerazione, le deroghe, il commissariamento, le scorciatoie per
aggirare lacci e lacciuoli, le commesse strapagate, i costosissimi
cantieri notturni non stop.
Sono sei anni, dal 31 marzo 2008, che sappiamo di dovere organizzare
l’Expo 2015. E anni che sappiamo, dopo i trionfi di Shanghai 2010 dove
il nostro padiglione fece un figurone, che l’impresa è difficile se non
temeraria. Eppure solo Napolitano, all’ultimo istante, si precipitò alla
grandiosa esposizione cinese per ricevere il passaggio del testimone e
mettere una toppa sulle vistose assenze del nostro governo. Dopo di
allora, tanti proclami, annunci, rassicurazioni… Mentre cresceva,
nonostante l’impegno generoso di tanti, la paura di non farcela.
È una maledizione, la fretta. E ci caschiamo sempre. O forse è peggio
ancora: c’è anche chi scommette sui ritardi e sulla accelerazione
febbrile col cuore in gola. Quando il rischio che salti tutto fa saltare
le regole che erano state fissate e i prezzi schizzano sempre più su,
più su, più su. Proprio come previde nel 2010 la presidente degli
architetti milanesi denunciando «perplessità in merito al rispetto delle
scadenze per il completamento dei lavori, alla trasparenza delle
procedure e alle modalità che saranno utilizzate per affidare gli
appalti». Già la prima di quelle gare, del resto, fu un’avvisaglia:
vinse un’impresa con un ribasso enorme da 90 a 58 milioni ma l’anno dopo
già batteva cassa per averne 88. Per non dire delle infiltrazioni nei
subappalti di imprese in odore di mafia: il capo della polizia Pansa,
mesi fa, comunicò che 23 aziende erano state escluse. Lo stesso sindaco
Pisapia, però, spiegò d’essere sulle spine: troppi, sei mesi di analisi
burocratiche, per verificare la serietà di una ditta. Tanto più se la
fretta si fa angosciosa.
L’unica sorpresa, nella retata di ieri che segue il fermo un mese fa del
direttore generale di Infrastrutture Lombarde Giulio Rognoni, sono i
nomi di alcuni degli arrestati. Già tirati in ballo vent’anni fa, nella
stagione di Mani pulite, come se non fosse cambiato niente. Dal
costruttore Enrico Maltauro all’ex pci Primo Greganti fino all’ex dicì
Gianstefano Frigerio, poi candidato da Forza Italia (lifting
anagrafico…) col nome d’arte di Carlo. Ma come, direte: ancora? Ancora,
accusano i magistrati. E parlano d’«una cupola» che «condizionava gli
appalti» in favore di «imprese riconducibili a tutti i partiti». Cosa
significa «tutti»? Mancano solo un paio di settimane alle elezioni
europee. E un anno all’apertura dell’Expo: i dubbi su quello che è oggi
il più grande investimento nazionale e rischia di trasformarsi da
vetrina della speranza e del rilancio in una vetrina infangata devono
essere spazzati via in fretta.
Corriere della sera, 9 Maggio, 2014
***
Gherardo Colombo
«Corruzione dilagante, la via giudiziaria non serve»
Corruzione Expo. Intervista di Carlo Lania all'ex pubblico ministero del pool di Mani pulite.
«La corruzione in Italia è così diffusa che è praticamente impossibile cercare di porvi rimedio per via giudiziaria». E’ una constatazione amara quella che Gherardo Colombo si trova a dover fare in un pomeriggio in cui il tempo sembra aver fatto un balzo all’indietro fino al 1992, anno in cui Tangentopoli ebbe inizio e lui, insieme al pool di Milano diede avvio a Mani pulite. 22 anni che sembrano passati invano. «Se oggi la situazione è analoga a quella di allora, mi sembra chiaro che la funzione di prevenzione che dovrebbero avere le indagini e i processi non sia stata svolta» commenta Colombo che, smessa la toga da magistrato, oggi è nel cda della Rai.
Dottor Colombo ecco di nuovo i nomi di Primo Greganti e Gianstefano Frigerio. Allora è proprio vero che a volte tornano?
Lasciamo che si concludano le indagini e i processi, perché esiste sempre la presunzione di innocenza. Dopo di che, però, possiamo fare un riflessione che prescinde dalle persone e chiederci se quella di oggi è una situazione analoga a quella di allora o se ci sono delle diversità.
E lei che risposta si dà?
Posso dirle con certezza che allora esisteva un sistema della corruzione e che oggi non mi sembra che le cose siano cambiate poi così tanto. Il sistema è sopravvissuto, anche se forse è una cosa diversa: forse c’è meno finanziamento illecito ai partiti e una destinazione dei proventi della corruzione più verso se stessi, anche se magari con delle eccezioni. Se però riflettiamo sulla quantità di questo fenomeno e sulla sua diffusione, credo che in questo paese la corruzione oggi sia diffusa ancora molto, molto e poi ancora molto. Abbiamo una serie di indizi per poterlo dire, come le analisi della Corte dei conti e gli approfondimenti di Transparency internationalche ogni anno elabora l’indice della corruzione percepita. E poi abbiamo una serie di emergenze segnalate dai media.
Stando alle notizie, una cosa che sembra essere cambiata è la consistenza delle tangenti. Dal 5–10% dei tempi di Tangentopoli all’attuale 0,8%. E’ anche questa una conseguenza della crisi o cosa?
Allora le tangenti erano molto più articolate. Ricordo quelle pagate per la costruzione della metropolitana: il movimento terra valeva il 3%, mentre invece attività che richiedevano maggiori competenze arrivavano fino al 13%. Sullo 0,8% di oggi probabilmente incide il fatto che girano meno soldi.
Perché in tutti questi anni l’azione di risanamento non è riuscita? E’ un problema di leggi insufficienti?
No, secondo me è un problema di cultura. Se si trattasse soltanto di leggi, quelle che puniscono la corruzione ci sono. Non sono perfette, ci mancano una sacco di cose ma ci sono. Credo invece che sia proprio un problema di cultura, di modo di pensare. La corruzione in Italia è così diffusa che è praticamente impossibile cercare di porvi rimedio per via giudiziaria, occorre intervenire attraverso stimoli educativi. Leggi più severe non servono. Vede le leggi c’è il precetto, che dice cosa è vietato, distingue quello che è lecito da quello che è illecito. Ora questa parte certamente è utilissima, però non serve a mio parere perché comporta generalmente solo il carcere, che invece di aiutare a marginalizzare la devianza alla fine la facilita. Se noi usiamo la sanzione per rendere vero il precetto, va a finire che ci mordiamo la coda.
Quindi è tutto inutile?
Non è tutto inutile, l’intervento penale è insufficiente. Dovrebbe tendere davvero, come dice la Costituzione alla rieducazione del condannato usando strumenti che siano in coerenza con il senso di umanità.
Viste le indagini di questi ultimi 22 anni, Mani pulite è stata inutile?
Se oggi la situazione è analoga a quella di allora, se la funzione delle indagini e dei processi è quella tra l’altro di operare come prevenzione generale, beh mi sembra che questa operazione di prevenzione non sia stata svolta. Guardi, io sono entrato in Mani pulite nell’aprile del 1992, nel luglio in un’intervista all’Espresso buttai lì l’idea che chi avesse ricostruito i fatti, restituito quello che aveva incassato illegittimamente e si fosse allontanato per qualche anno dalla vita pubblica non sarebbe andato in prigione. Si capiva già che attraverso lo strumento penale non si sarebbe riusciti a concludere niente.
Il manifesto, 9 maggio 2014
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