12 maggio 2014

IL BERLINGUER DIMENTICATO 1 e 2



Un libro di Guido Liguori su Berlinguer, trent'anni dopo la sua scomparsa. «Ormai è il tempo in cui la poli­tica si fa nei talk show. Una "pic­cola poli­tica" (Gram­sci) a cui Ber­lin­guer ha poco o nulla da dire. Alla "grande poli­tica", ammesso che essa possa final­mente tor­nare, potrebbe invece dire molto».


Il profeta inascoltato della questione morale 

di  Paolo Ercolani




C’è stato un tempo in cui la poli­tica non si faceva nei talk show. I pro­ta­go­ni­sti di quella sta­gione non erano miliar­dari (né si appre­sta­vano a diven­tarlo) che incen­tra­vano la pro­pria azione sul cari­sma per­so­nale e su misu­ra­zioni del con­senso che ricor­dano i mec­ca­ni­smi dell’audience mediatico. Di que­sta epoca che si sta­glia alle nostre spalle, pro­ta­go­ni­sta indi­scusso è stato Enrico Ber­lin­guer, per quasi quin­dici anni lea­der indi­scusso del par­tito comu­ni­sta ita­liano, di cui il pros­simo sette giu­gno si cele­bra il tren­ten­nale della morte, avve­nuta a Padova durante un comi­zio in vista delle immi­nenti ele­zioni europee.

Fra i molti libri che le più pre­sti­giose case edi­trici ita­liane si appre­stano a stam­pare, emerge con un valore tutto pro­prio il lavoro ine­dito di Guido Liguori, stu­dioso del pen­siero poli­tico e di Gram­sci, di cui esce in que­sti giorni per Carocci il suo Ber­lin­guer rivo­lu­zio­na­rio. Il pen­siero poli­tico di un comu­ni­sta demo­cra­tico (pp. 180, euro 13; è anche co-curatore, insieme a Paolo Ciofi, di Enrico Ber­lin­guer. Un’altra idea del mondo. Anto­lo­gia 1969-1984, Edi­tori Riu­niti Uni­ver­sity Press).

Il rischio del volume è di idea­liz­zare quell’epoca e, con essa, Enrico Ber­lin­guer che ne è stato un pro­ta­go­ni­sta indi­scusso. Un rischio che si pre­senta con tutta evi­denza quando Liguori ce lo descrive come il diri­gente per il quale la poli­tica è «pas­sione e dovere», un modello di uomo poli­tico impen­sa­bile ai giorni nostri, che «sem­pre immerso nei libri e nei gior­nali, pas­sava le not­tate a leg­gere, a pre­pa­rarsi». Un rischio desti­nato a essere supe­rato gra­zie al rigore ana­li­tico dell’autore e all’esplicitazione , ma anche non appena si chia­ri­sce del con­te­sto in cui Ber­lin­guer si tro­vava ad operare.

La fine di un'epoca

In que­sto senso è cen­trale un epi­so­dio ripor­tato nel volume: il 27 giu­gno del 1976, al sum­mit di Puerto Rico dei paesi più indu­stria­liz­zati, i pre­si­denti di Stati Uniti e Fran­cia, con­giun­ta­mente ai primi mini­stri di Regno Unito e Ger­ma­nia Ovest, si riu­ni­rono in tutta segre­tezza e all’insaputa di Aldo Moro (allora capo del Governo ita­liano e anche lui pre­sente al sum­mit in rap­pre­sen­tanza del pro­prio paese), per con­ve­nire sulle misure puni­tive che sareb­bero state prese nei con­fronti dell’Italia se il Pci fosse andato al governo. A nulla erano ser­vite le dichia­ra­zioni con­ci­lianti di Ber­lin­guer sulla Nato: il par­tito comu­ni­sta ita­liano, il più grande e forte dei paesi occi­den­tali, con­ser­vava il ruolo di nemico da com­bat­tere, Un epi­so­dio elo­quente sve­lato al pub­blico dal lea­der social­de­mo­cra­tico tede­sco Hel­mut Sch­midt, il quale parlò di un vero e pro­prio «avver­ti­mento», vei­colo di un «ter­ro­ri­smo economico».

L’apertura di Ber­lin­guer verso il blocco gover­nato dagli Stati Uniti è nota, con tanto di dichia­ra­zione della «nostra appar­te­nenza» ai paesi Nato (la cosid­detta «via ita­liana al socia­li­smo» non pre­ve­deva osta­coli o con­di­zio­na­menti da parte dell’Urss, secondo le parole del segre­ta­rio), ma evi­den­te­mente que­sto non era stato suf­fi­ciente a tran­quil­liz­zare i pro­fes­sio­ni­sti dell’anticomunismo, memori di un capo del par­tito comu­ni­sta ita­liano che, sem­pre in que­gli anni, si lasciava andare a una dichia­ra­zione tanto forte quanto discu­ti­bile: «È un fatto: nel mondo capi­ta­li­stico c’è la crisi, nel mondo socia­li­sta no».

Liguori è oppor­tuno ed effi­cace nel richia­mare un dato cen­trale: quella, a cavallo fra gli anni Set­tanta e Ottanta del secolo scorso, era anche l’epoca di un mondo che stava comun­que cam­biando. È in quella fase che ha ini­zio il feno­meno poli­tico sociale che oggi­giorno si è affer­mato con forza sovrana, e che insieme all’episodio di Puerto Rico costi­tui­sce un ele­mento nodale di com­pren­sione di quel tempo: la fine del modello key­ne­siano, carat­te­riz­zato da una felice com­mi­stione di libero mer­cato e inter­vento gover­na­tivo (wel­fare state) e il ritorno pre­po­tente dell’ideologia e della poli­tica libe­ri­sta, basata sull’esaltazione della ricerca del pro­fitto indi­vi­duale e sulla mor­ti­fi­ca­zione di ogni inter­vento sta­tale che fosse volto alla tutela della giu­sti­zia sociale.

Il peccato originale

Con­tro que­sto pre­pon­de­rante ritorno di un’economia a cui veniva affi­dato il governo incon­tra­stato sulla poli­tica e sulle fac­cende umane, nell’ambito del mondo che si stava glo­ba­liz­zando, Enrico Ber­lin­guer oppo­neva una solu­zione che ha forti eco con quella por­tata avanti da Joseph Sti­glitz (pre­mio Nobel per l’economia in virtù di idee diverse da quelle dei libe­ri­sti): un «governo mon­diale» che, sulle basi poli­ti­che della cen­tra­lità dell’uomo e dei suoi biso­gni, fosse in grado di porre un freno alle spinte mer­ca­ti­ste di un capi­ta­li­smo che «aveva gene­rato la deca­denza della vita eco­no­mica e della vita sociale, da cui nasce­vano non solo cre­scenti disagi mate­riali per le grandi masse della popo­la­zione lavo­ra­trice, ma anche il males­sere, le ansie, le ango­sce, le fru­stra­zioni, le spinte alla dispe­ra­zione, le chiu­sure indi­vi­dua­li­sti­che, le illu­so­rie evasioni».

In tale con­te­sto quella di Ber­lin­guer è anche la sto­ria di una grande scon­fitta, e que­sto emerge in maniera timida dalle con­si­de­ra­zioni di Liguori. Il suo essere stato anzi­tutto un uomo dell’apparato, la sua mio­pia ideo­lo­gica e poli­tica rispetto alle spinte pro­ve­nienti dai movi­menti meno proni all’ortodossia marxista-leninista, il con­ser­va­to­ri­smo ideo­lo­gico misto al defi­cit di lai­cità (pec­cato ori­gi­nale del comu­ni­smo ita­liano) che lo situa­rono su posi­zioni scet­ti­che riguardo agli impor­tanti refe­ren­dum indetti dai radi­cali negli anni Set­tanta, rap­pre­sen­tano alcuni degli ele­menti alla base della scon­fitta di Ber­lin­guer (e del Pci), soprat­tutto di fronte alle spinte post­mo­der­ni­ste pro­ve­nienti dal Psi del ram­pante Craxi.

Inopportune mitologie 

Allora come oggi, pro­ba­bil­mente, in cui l’apparato più orto­dosso del Pd (pro­ve­niente dall’ex Pci), col pro­prio immo­bi­li­smo ha lasciato campo libero all’emersione esplo­siva di figure spre­giu­di­cate e senza un fon­da­mento teo­rico e pro­gram­ma­tico di fondo, ci si è tro­vati a pagare un prezzo sala­tis­simo e dram­ma­tico, pro­prio nel momento in cui mag­gior­mente sarebbe stato neces­sa­rio avere un forte con­tral­tare alle spinte nuo­va­mente disu­ma­niz­zanti e tota­li­ta­rie del neo-liberismo.

Certo, la denun­cia ber­lin­gue­riana della «que­stione morale» fu quanto mai pro­fe­tica, come quel suo monito affin­ché i «par­titi ces­sino di occu­pare lo Stato», ma è indub­bio che troppi ritardi all’interno del Pci con­tri­bui­rono in maniera sostan­ziale a che l’ideologia libe­ri­sta riu­scisse nella sua impresa di distrug­gere pro­prio lo Stato, ren­dendo con­se­guen­te­mente obso­leti e depo­ten­ziati que­gli stessi par­titi (e idee) politici.

Ormai è il tempo in cui la poli­tica si fa nei talk show. Una «pic­cola poli­tica» (Gram­sci) a cui Ber­lin­guer ha poco o nulla da dire. Alla «grande poli­tica», ammesso che essa possa final­mente tor­nare, potrebbe invece dire molto. A patto che si sia con­sa­pe­voli anche dei suoi limiti. Tenen­dosi ben lon­tani da inop­por­tune mito­lo­gie. Ben lon­tani, a pen­sarci bene, dalla logica spet­ta­co­lare dei talk show.
 Il manifesto, 7 maggio 2014

PS: Sarò ingenuo, come dicono tanti, ma io ancora oggi mi domando: Perchè Enrico Berlinguer ha covato nel proprio seno le serpi che l' hanno tradito? 
fv

1 commento:

  1. Enrico Berlinguer nel 1956 (era segretario della Fgci, i giovani comunisti) fu l'unico della direzione Pci a non schierarsi contro l'allora segretario della Cgil Giuseppe Di Vittorio, che aveva criticato l'invasione Urss dell'Ungheria. Una importante scelta di autonomia, anche rispetto al segretario Pci Togliatti. Lo rivela Chiara Valentini nell'aggiornamento del suo libro su Berlinguer, ripubblicato da Feltrinelli e di cui parla L'Espresso in edicola: "Enrico eretico mite: prudente, in linea con Togliatti, ma aperto alle critiche di Di Vittorio contro l'invasione di Budapest. Un Berlinguer inedito nei verbali del Pci"

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