Dati sulla lettura: apocalittici, elitari e male informati
Il 23 marzo Giovanni Solimine così sintetizzava nel suo blog i dati sulla lettura e l’acquisto di libri per il periodo 2011-13 rilevati da Nielsen:
troviamo una conferma delle tendenze al ribasso sia per quanto riguarda la percentuale dei lettori (dal 49% al 43% in due anni), sia per quella degli acquirenti di libri (dal 44% al 37% in due anni). La sfasatura tra libri letti e libri acquistati si spiega col fatto che quasi il 40% dei libri letti, forse anche per effetto della crisi economica, viene da circuiti non commerciali (le biblioteche coprono il 18% delle provenienze). Complessivamente si sono “persi” 3 milioni di lettori nell’arco di un biennio. […] Tra i lettori prevalgono le donne e i giovani (si legge più della media tra i 14 e i 19 anni e tra i 25 e i 34), i residenti al nord-est e le persone con un titolo di studio elevato.
I commenti a questa indagine periodica commissionata dal Cepell (Centro per libro e la lettura) e a quella dell’ISTAT su Produzione e lettura di libri (ultimo rapporto, per gli anni 2012-3, pubblicato il 30 dicembre 2013) solitamente si dispongono lungo due fronti, che chiamerò, con consapevole approssimazione, “pessimista” e “relativista”. Il primo considera fortemente negativi i risultati e ritiene che la presente condizione costituisca un grave danno per i singoli e la società (vedi ad es. Lipperini, e m’includo, buon ultimo, nel gruppo). Il secondo, meno compatto, oppone a questa interpretazione diversi tipi di obiezioni (che, nelle parentesi seguenti, riprodurrò in una forma un poco estrema):
- nega che i numeri siano così sfavorevoli, in assoluto e soprattutto in prospettiva storica (“un tempo si leggeva molto meno e c’erano molti più analfabeti”).
- lamenta la limitata concezione della lettura, intesa quasi sempre come lettura di libri (“chi apre repubblica.it o gazzetta.it è chiaramente un lettore”), e contesta la categoria\autorappresentazione di non-lettore (“chi segue la preparazione di un piatto su GialloZafferano o su un ricettario è un lettore, anche se non si definirebbe tale”).
- mette in dubbio il “ruolo centrale” della lettura di libri rispetto ad altri veicoli di informazione, arte e cultura (“un post su lavoce.info insegna molto di più di un romanzo di Fabio Volo”, scrittore che qui, in onore alla convenzione, ancora una volta interpreterà generosamente il ruolo di idolo polemico).
- si spinge sino a ritenere inadatta alla nostra era la lettura di libri e quindi trova giustificato, se non direttamente provvidenziale, il calo (“un libro impiega 300 pagine per esporti un’idea; spiace ma non si ha più il tempo e l’attenzione; meno male che sul web trovi quella stessa idea in 3000 battute”).
Cominciamo con la categoria di lettore forte. In Italia usualmente si definisce tale chi legge in media un libro al mese, quindi 12 all’anno: sono meno di 4 milioni, anzi secondo la recente indagine Nielsen sono giusto 2,8 milioni i maggiori di 14 anni che leggono almeno 12 libri, mentre nell’ultima ISTAT le persone di 15 anni e più che hanno letto almeno 12 libri nel tempo libero superano di poco 3,1 milioni (come si vede, tra le varie rilevazioni disponibili non vi è una perfetta sovrapponibilità). Molti commentatori non solo si rammaricano per il loro basso numero ma contestano pure la qualifica, cioè ritengono che vero lettore forte è chi legge almeno 2 libri al mese, 1 a settimana, 2 a settimana, ovvero 20, 30, 50, 100 all’anno. A questa revisione concettuale corrispondono spesso proposte sulla promozione della lettura e l’acquisto dei libri orientate in special modo ai superlettori.
Molto probabilmente tu, caro Lettore di un post sulla lettura in un blog letterario, rientri nella categoria: qui non voglio spingerti a comprare e leggere un volume in più, anche se mi piacerebbe che tu potessi avere risorse per un libro e pure per un disco, un cinema e una pizza, ogni week-end (come, narrano i favolosi Antichi, accadeva nel pur distopico 1984). Il carattere anticiclico del libro, cioè l’andare in controtendenza rispetto alle crisi economiche e “tenere la quota di mercato”, è stato assunto nel recente passato come un dato immodificabile, di natura, proprio perché i lettori forti, sia per il reddito non bassissimo di molti fra loro sia perché disposti a sacrificare altri beni all’acquisto dei libri, continuavano a comprare oggetti che a fronte di un investimento contenuto (10-20€) offrono loro un grande piacere. Ma le condizioni economiche si sono per troppi fatte così dure da impedire anche l’amato giro in libreria e il settore editoriale che, nella lunga crisi e per ragioni facili a comprendere, tanto ha puntato sulla tenuta dei clienti più pregiati e fedeli, i lettori forti, ha subito un ulteriore grave colpo. A questo proposito, una mia curiosità è vedere se gli “80 euro di Renzi” porteranno presto maggiori vendite, ovvero se tra i primi consumi che (nell’ipotesi più rosea) “ripartono” un poco vi saranno gli anticiclici libri.
Ricordiamo ora che sono circa 10 milioni gli italiani che leggono fra 3 e 12 libri all’anno – chiamiamoli generosamente tutti “lettori medi” – e poniamo l’obiettivo lodevolissimo di circa 60 milioni di libri letti in più: li potremmo dividere come 10 libri in più per i 4 milioni di italiani lettori forti e 2 in più per i medi oppure come 4,5 libri in più per 14 milioni. A queste situazioni alternative io preferisco quella che porta gli attuali 10 milioni di lettori medi a leggere 15 libri all’anno o i famigerati 12 o i minuscoli 8, che segnalano comunque un rapporto non instabile col libro. Il già citato Solimine, autore dei preziosi L’Italia che legge e Senza sapere, presidente dell’associazione Forum del Libro [1], ha più volte insistito su questo punto: considerate le risorse finite (anzi ben scarse), si operi prima di tutto per allargare la base di lettori forti, nell’accezione comune, si lavori cioè per aumentare la lettura tra chi ha con il libro un rapporto non saldissimo ma neppure tanto episodico da risultare troppo difficilmente “trasformabile” in lettore abituale. E se mi posso permettere una piccola nota retorica: un’Italia con 15 milioni di persone che leggono almeno 10 libri all’anno sarebbe un Paese diverso, e migliore (cambierebbe meno un’Italia dove i 3-4 milioni di lettori forti leggono in media 10 libri in più).
Il lettore forte non viene contestato dai pessimisti solo nella quantità ma anche nella qualità dei libri: “non devono essere inclusi i manuali di cucina e di trekking, i romanzi rosa ed erotici, le biografie di calciatori e cantanti, contano solo i libri veri”. Qui immancabilmente il passo cede e il terreno frana, sino a non ritenere “lettore vero” chi ama Fabio Volo, anzi Gianrico Carofiglio, anzi Andrea Camilleri, anzi Alessandro Piperno e Walter Siti, e pure l’ultimo Arbasino, signora mia… Questa strada ripropone il peggior elitarismo – quasi sempre straccione e censorio – in coppia col feticismo dell’oggetto libro. I valori letterari non sono tutti uguali e, personalmente, vorrei che un numero molto maggiore di fan di Volo apprezzasse Piperno e Coetzee, così come ritengo dannosa un’editoria dominata solo dal “buon senso” commerciale di breve periodo, ma dare, sulla base del proprio gusto autopromosso a criterio oggettivo, patenti di lettore vero solo ad alcuni lettori forti è il modo peggiore per riflettere e agire su questi temi.
Soprattutto si cade nell’errore di considerare lettori entusiasti e voraci, come sono molto quelli di genere, dei sempliciotti ai quali può essere ammansita qualsiasi cosa. In queste comunità vi sono, invece, preferenze diverse, all’interno dell’ampio macrogenere di partenza, chiare opinioni sui valori e molto amore per la scrittura e le storie. Considerare e trattare da “sublettore” un amante del fantasy, che saprebbe parlare per ore delle differenze tra un Gene Wolfe e una Licia Troisi o tra un Neil Gaiman e un Robert Jordan, è stupidamente offensivo e garantisce quasi sicuramente il suo non avvicinamento a Dostoevskij e Bellow. Un simile atteggiamento irrispettoso è, ancora una volta, riscontrabile pure in molti professionisti dell’editoria che lucrano sulla letteratura di genere senza mostrare una grande considerazione per i clienti – potrei segnalare lo spacchettamento dei singoli libri della saga di G.R.R. Martin in più volumi o le numerosissime serie di romanzi interrotte in traduzione
Tra i lettori di genere vi sono molti giovani e forse il dato più allarmante delle ultime rilevazioni è la perdita del piacere della lettura durante l’adolescenza e nella prima età adulta. Oggi s’imputa questo calo ai social network e agli smartphone e sicuramente il loro impatto non va sottovalutato ma si devono ricordare, pur senza enfatizzarne la portata, almeno due circostanze: possiamo anche leggere ebook su uno smartphone (piuttosto comodamente, grazie a miglioramenti della qualità degli schermi e a formati pensati proprio per adattarsi alle dimensioni del supporto di lettura) e possiamo usare i social network anche per parlare di libri (i generalisti Facebook e Twitter come gli specializzati Anobii e Goodreads). Anzi Wattpad, un social network orientato tutto sui giovani, la lettura mobile e la condivisione di storie, tra i risultati del suo fortunato 2013 segnala che il 53% degli scrittori della piattaforma ha scritto una storia col proprio smartphone. Internet e gli smartphone sono anche nuovi mediatori della lettura e della scrittura.
Un’ultima nota contro l’atteggiamento di lungo periodo dei pessimisti che vede l’assassino della lettura nel nuovo “mezzo” favorito dai giovani - ruolo ricoperto negli anni, e anche contro inconfutabili evidenze, dalla tv, dai cartoni animati giapponesi, dai videogiochi, infine da internet. Tutti questi ambienti e contenuti sono, in una certa misura e da un certo punto di vista, in competizione per la nostra attenzione, il nostro tempo e il nostro portafoglio, soprattutto oggi nella loro condizione digitale, nella loro fruibilità immediata su un pc, e, in mobilità e sempre con noi, su tablet e smartphone. Ma si rafforzano pure gli uni con gli altri e per moltissime persone questo effetto moltiplicatore prevale. Continuando con l’esempio fantasy: la serie tv Game of Thrones ha creato non pochi lettori e probabilmente ne ha “recuperati” un numero discreto, specie tra adolescenti e post-adolescenti. Questi lettori, su carta o ebook, di G.R.R. Martin, J.K. Rowling, Tolkien e Veronica Roth mostrano anche come i “nativi digitali” (categoria tutta da demistificare, vd. almeno danah boyd) non sono deprogrammati per la lettura di testi lunghi.
Le future politiche di promozione della lettura dovrebbero, a mio giudizio, affrontare la sfida dei nuovi ambienti senza cedere a due eccessi infine imparentati: a) la lode di ogni cosa nuova, ad es. il vedere sempre un abilissimo multitasking dove altri denunciano la distrazione digitale (la lettura continuamente interrotta o proprio sostituita da notifiche Facebook, canzoni su SoundCloud, tweet, mail, chiamate Skype, giochi); b) la rassegnazione alla battaglia di retroguardia se non alla sconfitta, la conversione al determinismo tecnologico e all’ideologia sbarazzina dell’era post-libro. Molti ventenni sono nella condizione di non-lettori di libri o sono ritornati in essa non perché il loro cervello è stato reso troppo stupido/intelligente dalla rete e dagli smartphone, ma perché il libro, di carta o digitale, non è stato comunicato e trasmesso in forme adatte alle loro condizioni di vita e maturazione. Infine, mutatis mutandis, lo stesso si può dire, con rammarico e con speranza di cambiamento, per le altre fasce d’età e per le divisioni geografiche, sociali ed economiche così forti nella diffusione della lettura in Italia.
[1] Il Forum del libro ha prodotto anche l’utilissimo Rapporto sulla promozione della lettura in Italia con analisi, proposte e un censimento delle buone pratiche presenti sul territorio.
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