Tra i maestri che abbiamo avuto un posto di rilievo occupa Leonardo Sciascia. Da questi, prima che da altri, abbiamo imparato ad apprezzare ogni forma di eresia. Abbiamo, infatti, sempre amato ripetere con lui questo pensiero:
“L’eresia è di per sè una grande cosa e colui che difende la propria eresia è sempre un uomo che tiene alta la dignità dell’uomo. Bisogna essere eretici, rischiare sempre di essere eretici, se no è finita. E’ stato anche il partito comunista dell’URSS ad avere avuto paura dell’eresia e c’è sempre nel potere che si costituisce in fanatismo questa paura dell’eresia. Allora ogni uomo, ognuno di noi, per essere libero, per essere fedele alla propria dignità, deve essere sempre un eretico.”
Anche per questo segnaliamo oggi con piacere
la pubblicazione di un libro che offre una
sommaria storia delle eresie:
Viaggio al centro dell’eresia
di Giorgio VastaEresia proviene dal greco e vuol dire afferrare, scegliere, eleggere. Negli Atti degli Apostoli conserva ancora un carattere neutro, mentre nel Nuovo Testamento diventa un termine negativamente connotato, fino a significare l’opposto di ecclesia. L’eretico, colui che compie una scelta divergente rispetto a ciò che è andato definendosi come regola, viene a coincidere con il sacrilego; con colui il quale non vuole riconoscere le strutture dell’ortodossia.
Piccola storia delle eresie di Mauro Orletti (Quodlibet) descrive dottrina e consuetudini delle sette eretiche cristiane in un arco di tempo che va dal primo secolo allo scisma del 1054. Si parte dai Simoniaci, ed esattamente dalla sfida, nel teatro di Roma, tra Simon Mago che vola in cielo e San Pietro che lo riprecipita al suolo rompendogli le gambe, si prosegue con gli Emerobattisti (che immergendosi tutti i giorni in acqua «ne approfittavano per lavare vestiti, masserizie e stoviglie», rimproverando inoltre i discepoli di Cristo perché sedevano a tavola senza aver lavato le mani), e poi con i Carpocraziani (per i quali Dio ha l’aspetto di un asino), i Basilidiani (adoratori di porri e di cipolle), i Dattilorinchiti (che se ne andavano in giro con l’indice su naso e bocca a imporre un silenzio assoluto ed eterno), i Saccofori (che pregavano agitando un dito in aria per uccidere il demonio e che consideravano l’andare di corpo come un peccato gravissimo), gli Etnofroni (cristiani paganizzanti che durante il settimo secolo divinavano interrogando il formaggio, le fave, i tuoni, la cera fusa e i «riccioli dei bambini agitati dal vento») e con decine di altri gruppi, di cosmogonie, liturgie e protocolli.
Come precisato nella premessa, in questo libro «l’approccio adottato è esclusivamente letterario». Vale a dire che Orletti osserva – e lo fa con grande acume – il versante estetico e paradossale di ogni dogma e di ogni follia rituale; non con l’intento di ironizzare su tutto ciò relegandolo a pura e semplice bizzarria, a un catalogo di assurdi lontani da una verità rivelata ed evidentemente indiscutibile.
Al contrario, Orletti sa bene che di verità tetragone e definitive non ce ne sono e che comporre una storia delle eresie significa ricostruire una storia dei possibili mancati, delle alternative perdute, delle ipotesi irrealizzate; per arrivare a scoprire che quanto in ambito cristiano è inteso come ortodossia è anche l’esito di un processo di progressivo smaltimento delle differenze.
Recensione già pubblicata da Repubblica e ripresa da http://www.minimaetmoralia.it/
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