Montanari Tomaso
Le pietre e il popolo
Sab, 05/04/2014 - 23:31 — Luca-Menichetti
“Il primo cittadino di una delle più
importanti città d’arte del nostro paese ha recentemente trivellato gli
affreschi cinquecenteschi che ornano la più grande sala civica del suo
palazzo comunale per tentare di trovare un capolavoro perduto che possa
alimentare il suo mito personale, e diventare il feticcio di un
super-marketing turistico. Matteo Renzi lo ha fatto contro ogni evidenza
scientifica, calpestando il metodo e la comunità della conoscenza,
usando il patrimonio storico e artistico come una clava, aggredendo e
denigrando i dissenzienti. Ma, in tutto questo, la violenza mediatica è
l’unica vera novità: da tempo, in fatti, l’insopportabile retorica delle
cosiddette città d’arte italiane nasconde lo stato avanzato di una
metamorfosi fatale […] Il valore civico dei monumenti è stato negato a
favore della loro rendita economica, e cioè del loro potenziale
turistico. Lo sviluppo della dottrina del patrimonio storico e artistico
come petrolio d’Italia (nata negli anni Ottanta di Craxi) ha
accompagnato la progressiva trasformazione delle nostre città storiche
in luna park gestiti da una pletora di avidi usufruttuari” (pag 9-11).
Le prime parole dello storico dell’arte Tomaso Montanari, chiare e
taglienti, che troviamo nella prefazione a “Le pietre e il popolo”,
danno già la misura di come potrà procedere il libro, durissimo pamphlet
ma anche manuale di resistenza civile. Pagine che, senza la pretesa di
rappresentare un’inchiesta sistematica e completa, raccontano con
dovizia di particolari casi recenti di malapolitica applicata al nostro
patrimonio artistico.
Ed ecco che si apre una micidiale
galleria degli orrori: le vicende dell'Opera della Metropolitana di
Siena (“l’esempio più clamoroso di privatizzazione e messa a reddito del
patrimonio storico di una città, l’esempio più degradante della
trasformazione istantanea di cittadini in clienti, ha avuto luogo
proprio sull’acropoli di Siena”), i progetti di privatizzazione della
Pinacoteca di Brera, Venezia ridotta a showroom, il progetto della torre
di Pierre Cardin a Marghera, gli Uffizi affittati a Madonna (e qui
siete legittimati a bestemmiare), una Roma dove si ipotizzano piste di
sci al Circo Massimo, la Napoli dei megaeventi mentre le chiese storiche
crollano, il centro storico dell’Aquila che, con buona pace della
propaganda, è tutt’ora in rovina mentre gli aquilani sono stati
trasferiti in luoghi a dir poco alienanti. Montanari, professore in quel
di Napoli, inoltre è stato testimone in prima persona di una vicenda
grottesca, con tanto di risvolti penali. Il luogo incriminato è la
Biblioteca dei Girolamini in mano al famigerato Marino Massimo De Caro.
Al tizio in questione, ammanicato con Massimo D’Alema e soprattutto con
Dell’Utri, già mediatore di un losco affare di petrolio venezuelano, già
sospettato di clamorosi furti di libri in importanti biblioteche
pubbliche sudamericane e spagnole, già indagato per ricettazione, pur
non avendo titoli, è stata affidata la guida di una delle più importanti
biblioteche d’Italia. E fin qui probabilmente qualcosa ancora in linea
con la nota prassi del ventennio Polo-Ulivo. In questo caso però le
denunce di Montanari hanno sortito degli effetti. Alla fine, malgrado le
strenue difese degli amici politici, malgrado gli inascoltati appelli
al dormiente ministro Ornaghi da parte di noti intellettuali, Marino
Massimo De Caro è stato arrestato e ha iniziato a confessare parte dei
suoi crimini: lo sviluppo delle indagini ha confermato il saccheggio
della biblioteca Girolamini, rivelando uno dei casi più clamorosi di
commercio illegale di libri antichi.
Montanari prosegue col racconto di
altre bestialità imbastite da sedicenti politici al servizio del popolo,
ma soprattutto interessati a sfruttare i beni artistici sostanzialmente
in due direzioni: per costruirsi direttamente un consenso personale; e
poi per favorire imprenditori amici, trasformando i cittadini in
consumatori passivi, spacciando le privatizzazioni come soluzioni molto
americane e quindi molto efficienti (ma: “si dimentica che i musei
americani sono collezioni di milionari infine consacrate alla proprietà e
al godimento pubblici, quelli italiani saranno collezioni pubbliche
privatizzate contra legem”).
Le pagine più polemiche su questo
approccio disinvolto di “sfruttare il passato senza comprenderlo, usarlo
senza amarlo”, dove la “valorizzazione” diventa “monetizzazione” e dove
qualche sindaco si lascia sfuggire parole che fanno capire fin troppo
bene con chi abbiamo a che fare (“gli Uffizi sono una macchina da soldi,
se li facciamo gestire nel modo giusto”), nel libro del fiorentino
Montanari le troviamo a proposito del neo premier rullo compressore
“cambiamotutto” Matteo Renzi: “è profondamente estraneo alla tradizione
culturale fiorentina, mentre è radicatissimo nella prassi dello
sciacallaggio del passato […] è assai rapidamente diventato il politico
professionista più a proprio agio nel violare il significato civile
dell’arte del passato, clamorosamente ridotta ad alienante fabbrica di
clienti (e, in particolare, di acquirenti di un format politico)” (pag.
161).
Sono pagine dove si coglie una sincera
delusione e una buona dose di autocritica: “Per qualche tempo, dopo la
sua elezione a sindaco di Firenze, è sembrato che Matteo potesse avere
la forza di cambiare il destino della città. Alcuni ingenui hanno
pensato che rottamare lo stato presente delle cose potesse voler dire
anche rompere con lo sciacallaggio del passato, e ricominciare un futuro
diverso. Io ero tra quegli ingenui: ed è per questo che, nonostante
molti segnali negativi, ho accettato l’invito del sindaco a parlare alla
stazione Leopolda, nel novembre 2011 […] Il mio discorso produsse, sì,
l’idea numero 63 (intitolata alla “Funzione civile del bello”) di quella
sorta di embrionale pre-programma di governo che uscì dalla Leopolda.
Ma non produsse nient’altro. E, anzi, nelle settimane e nei mesi
successivi venne contraddetto, sempre più microscopicamente, dalle idee e
dall’azione di Matteo Renzi” (pag. 118-121). Montanari, dopo aver
descritto a grandi linee buona parte delle armi di distrazione di massa
imbastite da Renzi per poi spiccare il volo verso le stanze del potere
romano, riprendendo quanto scritto in prefazione, alla fine ha dedicato
la maggior parte delle pagine alla vicenda forse più paradigmatica del
renzismo applicato al patrimonio culturale: la ricerca della “Battaglia
di Anghiari”. In altri termini la storia di un possibile e gigantesco
trampolino mediatico, dove la televisione e si è rivelata di
un’importanza cruciale, mentre intanto, proprio nelle sale di Palazzo
Vecchio, “gli affreschi del Quartiere degli Elementi sono in pessime
condizioni, le pitture del Terrazzo di Saturno cadono letteralmente a
pezzi, dai soffitti affrescati delle scale pendono i fili elettrici”
(pag. 131). Dopo aver riportato tutta la sequela di ultimatum e insulti
dispensati nei confronti di coloro, sovrintendenti in primis, che si
opponevano alla sceneggiata mediatica, peraltro finita miseramente, il
perfido Montanari ha voluto citare alcuni brani da “Stil Novo”, il libro
di Matteo Renzi. Non sappiammo se l’economista Vaciago, quando ha
recentemente detto che trovava “miserevoli” i libri di Renzi, si
riferisse a “Stil Novo”, ma certo c’è da sospettarlo. Montanari, proprio
citando questo libercolo, ci dice che nel lessico intellettuale
renziano “emozione è il vero sinonimo della cultura” e che “nessuno gli
ha insinuato il dubbio che studiare la storia non serva ad emozionarsi,
ma a educarsi all’esattezza, alla presa sul reale, alla capacità di
modificarlo” (pag. 152). Volando più basso ci pare semmai che, proprio
riguardo la vicenda della Battaglia di Anghiari, sia emersa una cultura
che fa più riferimento a Vojager (il programma di Giacobbo) piuttosto
che a Bernard Berenson; e che, dopo aver letto “Stil Novo”, qualcuno
potrebbe pure rivalutare le doti letterarie di Fabio Volo e Jovanotti
come grande intellettuale contemporaneo. Insomma abbiamo avuto
l’ennesima conferma che probabilmente la funzione civile del patrimonio
storico e artistico, quale uno “dei principi fondanti della nostra
democrazia”, è già stata rottamata. “Avanti così come un rullo”.
EDIZIONE ESAMINATA E BREVI NOTE:
Tomaso Montanari, (Firenze, 1971)
storico dell’arte, è professore associato presso il Dipartimento di
Studi Umanistici dell’Università degli studi di Napoli Federico II. Ha
pubblicato per Einaudi i saggi “A cosa serve Michelangelo e Il barocco”; per Skira, il pamphlet “La madre di Caravaggio è sempre incinta”.
Il libro "Costituzione incompiuta. Arte, paesaggio, ambiente" (da lui
curato, e scritto insieme a Alice Leone, Paolo Maddalena, Salvatore
Settis; Einaudi 2013). Ha vinto il Premio Internazionale Capalbio per la
Saggistica 2013. Collabora con Il fatto quotidiano e le edizioni fiorentina e napoletana del Corriere della Sera.
Nel novembre del 2012 ha ricevuto il Premio Giorgio Bassani. Nel
febbraio 2013 ha ricevuto dal Presidente della Repubblica Giorgio
Napolitano l'onorificenza di Commendatore dell'Ordine al Merito della
Repubblica «per il suo impegno a difesa del nostro patrimonio».
Tomaso Montanari, “Le pietre e il
popolo. Restituire ai cittadini l’arte e la storia delle città
italiane”, Minimum fax, Roma 2013, pag.
Luca Menichetti. Lankelot, aprile 2014
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