01 maggio 2014

RITORNIAMO A GRAMSCI




Pubblichiamo uno stralcio dell’introduzione del volume “GRAMSCIANA. Saggi su Antonio Gramsci” di Angelo d’Orsi (Mucchi editore)
 
Il libro Dagli scritti qui raccolti esce un ritratto complessivo di Antonio Gramsci, del suo pensiero, e delle sue pratiche politiche, tra il periodo giovanile, la maturità, e gli anni del carcere. Si presta anche attenzione alla “fortuna”, e agli usi e abusi, fino alle polemiche più recenti. Emerge l’originalità della posizione di Gramsci tanto nella storia della cultura e della politica italiana, quanto nel panorama della teoria marxista e dello stesso mondo del comunismo internazionale. La spiegazione, in sintesi, del perché Gramsci sia forse il solo pensatore “marxista” e comunista sopravvissuto al crollo del Muro; anzi del perché proprio la fine del “socialismo reale”, ne abbia rilanciato il nome su scala mondiale, fino a fare di lui l’autore italiano più studiato e tradotto nel mondo.

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Uno stralcio dell’Introduzione di GRAMSCIANA. Saggi su Antonio Gramsci” di Angelo d’Orsi (Mucchi editore)

La Gramsci Reinassance
Antonio Gramsci moriva a Roma, in una casa di cura, nel 1937, a
46 anni, dopo aver trascorso tra carcere, confino di polizia e cliniche, in
stato di detenzione o semidetenzione, oltre 10 anni, dopo che un tribunale
speciale del fascismo lo aveva condannato a venti anni (20 anni, 4
mesi, 5 giorni) di reclusione.
Ma la “fortuna” di Gramsci comincia prima della morte, dopo pochi
mesi dall’arresto; e ne fu promotore colui che aveva preso il suo posto
alla testa del Partito Comunista d’Italia, ossia Palmiro Togliatti, con
il quale Gramsci aveva rotto ogni rapporto poco prima dell’arresto, a seguito
dell’aspro dissenso scoppiato tra di loro sul giudizio relativo all’operato
della maggioranza del Pcb di Stalin e Bucharin contro il fronte delle
minoranze di sinistra di Trockij, Kamenev e Zinov’ev. Gramsci, segretario
del PcdI aveva scritto una lettera nella quale, pure con la comprensibile
prudenza connessa al proprio ruolo, esprimeva una critica di fondo
alla linea staliniana, e richiamava i “compagni russi” alle loro responsabilità
davanti al movimento comunista internazionale. La lettera, come
sappiamo, non fu consegnata da Togliatti (con l’accordo di Bucharin),
suscitando l’aspra reazione di Gramsci. Eppure, a dispetto di quell’episodio,
che segnò la rottura fra i due, anche sul piano personale, Togliatti
si propose e si impose, con abilità, quale prosecutore, interprete fedele
e quasi fratello minore di Gramsci; dall’altra si impegnò da subito a valorizzare
la figura di quel combattente caduto nella rete del nemico. Potremmo
dire che, in nuce, nel dissenso dell’ottobre 1926 risiede l’essenza
della fortuna di Gramsci, alla quale assistiamo sulla scena internazionale
ormai da un quarto di secolo.

 

Ancora oggi il rapporto Gramsci-Togliatti rimane il nodo essenziale
delle infinite discussioni non soltanto in seno alla comunità gramsciana,
dentro e fuori i confini italiani, ma anche lo sfondo di tante dispute
che, spesso in maniera pretestuosa e infondata, da tempo immemorabile
costituiscono il leit motiv di un dibattito che oscilla tra storiografia e ideologia,
tra bisogno di conoscere il passato e tentazione di manipolarlo a
proprio uso e consumo. Se in seno al Partito comunista, a lungo, anche
dopo la morte di Togliatti (1964), costui era considerato appunto il più
fedele compagno e continuatore del “capo della classe operaia” (come fin
dal 1927 Togliatti stesso chiamò Gramsci in un famoso articolo apparso
in Francia); oggi il giudizio si è fatto molto articolato, tra gli studiosi,
mentre l’opposizione Gramsci-Togliatti è diventata il filo conduttore
della polemica politico-giornalistica, specialmente nel campo esterno alla
cultura di sinistra; ormai, anzi, si può dire sia diventato un luogo comune,
con una semplificazione della vicenda storica che arriva alla più indecente
banalizzazione, o addirittura fino al suo disinvolto rovesciamento.
Che il contrasto politico fra i due sia un dato storico è fuori discussione;
ma non v’è dubbio che se noi oggi parliamo di Gramsci – e tutto il
mondo, si può dire, ne parla, e siamo qui a chiederci il perché – lo si deve
innanzi tutto precisamente a Palmiro Togliatti. Che, appunto, dopo aver
scritto i primi due articoli sul compagno in carcere, tra il 1927 e il 1928;
dopo aver in qualche modo seguito le trattative per la sua possibile liberazione,
sia pure in posizione defilata, dato il suo ruolo; dopo aver tenuto
sotto controllo l’andamento della esistenza del prigioniero da Mosca e
anche la vita della famiglia a Mosca; fu decisivo sia per salvare gli scritti
pubblicati (“bisogna raccogliere gli scritti di Antonio prima che se ne perda
memoria” – scriveva a un compagno quando Gramsci era da poco in
prigione), sia per mettere al sicuro il tesoro costituito dalle Lettere e poi,
soprattutto, dai Quaderni, che tornarono insieme con Togliatti in Italia,
in nave, nel 1945, da Mosca; le lettere, quelle ricuperate fino ad allora,
giunsero invece tra la fine del 1946 e il gennaio 1947.
E decisivo fu Togliatti per la costruzione della fortuna di Gramsci,
con la doppia operazione del 1947-48, con la pubblicazione prima delle
Lettere e poi, dal 1948, fino al 1951, dei Quaderni: doppia perché fece
precedere la scoperta dell’uomo e dello scrittore, in modo da creare un
pubblico il più largo possibile per accogliere poi la ricezione del pensatore,
come si era espresso nelle note dei Quaderni. E qui, l’ultimo colpo di
genio di Togliatti: una edizione tematica, in sei volumi, che potesse facilitare
la lettura di quei testi complessi, spesso difficili, che più che un’opera
costituivano un insieme di opere abbozzate, a diversi livelli di elaborazione.
Operazione, quest’ultima, “filologicamente pazzesca”, come
è stata definita (Luciano Canfora), ma culturalmente intelligente e politicamente
produttiva. Inoltre, la decisione di scegliere una casa editrice
non di partito, sebbene vicina ad esso, ma di orientamento democratico,
la casa fondata dal figlio di Luigi Einaudi, che stava nell’immediato dopoguerra
costruendo un filo conduttore della nuova cultura italiana, tra i
classici del pensiero liberale, socialista e democratico, da De Sanctis fino
appunto a Luigi Einaudi e, appunto, ad Antonio Gramsci.
Insomma, Gramsci è “autore interamente postumo” (Giuseppe
Vacca); almeno il Gramsci dei Quaderni e delle Lettere; in parte il discorso
vale anche per gli articoli giornalistici e i testi interni al Partito Comunista:
gli uni quasi mai firmati, e gli altri ovviamente noti solo alla dirigenza
comunista. Palmiro Togliatti è stato comunque il suo primo e
principale “editore”, ossia colui che l’ha salvato e ce lo ha consegnato, sia
pure con censure sulle quali si è accanita la polemica giornalistica e politica,
ma con scarso fondamento, in quanto si trattava di censure minime
che non intaccavano la sostanza del pensiero di Gramsci, che ha cominciato
a essere conosciuto e apprezzato a partire proprio dal primo volume
dei sei, organizzati da Felice Platone sotto la direzione di Togliatti, intitolato
Il materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce.
Dal 1951, con la pubblicazione del sesto e ultimo volume, ebbe inizio
la stagione degli studi, che non si sarebbe più arrestata, pur nelle oscillazioni
legate ai contesti politici e culturali, producendo, con gli anni,
una mole che ha pochi termini di paragone, a livello mondiale: monografie,
saggi, volumi collettanei, recensioni, note critiche, rassegne, e, naturalmente,
seminari e convegni… Proprio un convegno, quello del primo
decennale della morte, svoltosi in ritardo, nel gennaio 1958, a Roma,
chiudeva idealmente gli anni Cinquanta: il mondo degli studi si era mobilitato
intorno a quel nuovo autore. E cominciarono anche le polemiche
verso l’interpretazione che si stava cristallizzando nel Partito comunista,
con i paralleli tentativi di evidenziare, pur in una ribadita complessiva fedeltà
al leninismo, l’originale collocazione di Gramsci in seno al pensiero
marxista. Erano spunti e analisi che avevano ricevuto non pochi stimoli
dalla pubblicazione, avviata nel 1954, degli scritti antecedenti al carcere,
in una prima serie conclusa nel 1971.

(…)

(Riproduzione riservata)
© Mucchi editore

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